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Cronaca Rimini

Aids, la speranza è bambina

In foto: Intervista alla dottoressa Maria Teresa Cecchi della Pediatria all'Ospedale Civile
LA CURA dell’AIDS ha compiuto in questi anni numerosi passi in avanti e i successi più confortanti si registrano, forse, in ambito pediatrico.
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LA CURA dell’AIDS ha compiuto in questi anni numerosi passi in avanti e i successi più confortanti si registrano, forse, in ambito pediatrico.">
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mer 11 lug 2001 07:49 ~ ultimo agg. 00:00
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A Rimini, negli ultimi tre anni sono nati 19 bambini da madri sieropositive e nessuno è stato infettato dal virus dell’HIV (il numero è elevato ed è dovuto alla presenza, nel nostro territorio, di realtà come la comunità di San Patrignano e le case famiglia di don Oreste Benzi).
Nello stesso periodo, in Emilia-Romagna (ma i dati ufficiali sono aggiornati solo al ’99) sono stati registrati circa novanta parti da madri sieropositive e solo nel 3,5% dei casi si è avuta, durante la gravidanza, la trasmissione dell’infezione.

Dai “cocktail” la nuova speranza

I progressi più rilevanti si sono avuti a partire dal 1995 con la sperimentazione dei primi farmaci antiretrovirali (l’AZT), come ci spiega la dottoressa Maria Teresa Cecchi del reparto di pediatria dell’ospedale “Infermi” di Rimini.
“Prima del ’95 erano pochi i farmaci a disposizione e si procedeva principalmente con la somministrazione (un’iniezione) di immunoglobuline una volta al mese”. Adesso, invece, esistono terapie triplici o quadruplici con AZT, 3TC, Indinavir, neflinavir… (il famoso “cocktail”, ndr) che consentono di tenere sottocontrollo il virus, bloccandone la replicazione ed impedendo che progredisca e si diffonda.
“Prima dell’introduzione degli antiretrovirali, i bambini nascevano con un elevatissimo numero di virus in circolo, il sistema immunitario era già depresso e purtroppo, molti morivano durante le pri me settimane”.
Seguiva poi, una fase di attenuazione della malattia, ma spesso si verificavano delle ricadute entro i primi cinque anni di vita, che erano considerati come un traguardo per il bambino.
In Italia, da quando si è cominciato ad effettuare il test per la ricerca del virus dell’HIV nel 1985, sono nati 5.333 bambini da madri sieropositive (dati del registro nazionale italiano di infezioni da HIV, diffusi al convegno nazionale di pediatria di Torino del 6/7 aprile scorsi) e di questi 1.218, purtroppo, si sono infettati. 445 bambini sono morti, di cui 399 per AIDS. Di 2.310 si sono perse notizie, forse in seguito a cambi di residenza, e tra questi ce n’erano 400 che avevano contratto il virus.

14 minori in cura

Attualmente, a Rimini, sono 14 i pazienti affetti dal virus dell’HIV seguiti dal reparto di pediatria dell’Infermi, di età compresa tra i 4 e i 19 anni e tutti di nazionalità italiana, ad eccezione di un bambino africano.
A Rimini manca un reparto di infettivologia pediatrica come invece esiste nella non lontana Parma (una delle poche città italiane in cui è attivato), tuttavia vengono seguiti, nel nostro ospedale, pazienti provenienti un po’ da tutta la Romagna ed anche da Pesaro ed i protocolli delle terapie vengono stabiliti insieme dai reparti di infettivologia, pediatria e ginecologia.
“Quello che è stato fatto per la lotta all’AIDS non si è verificato con nessun’altra malattia”, assicura la dottoressa Cecchi, “e l’introduzione di nuovi farmaci e il perfezionamento delle terapie mediche (come il taglio cesareo, che evita al bambino il contatto con il sangue materno, la somministrazione degli antiretrovirus poche ore prima del parto e poi, al bambino – nelle prime trentasei ore di vita – ed il divieto di allattamento), consentono oggi un’aspettativa di vita di almeno vent’anni”.

La guarigione è ancora lontana

Insomma, guariscono… &q uot;Non si può parlare di guarigione, perché ancora non si conoscono alcuni aspetti della malattia. Certo è che il bambino reagisce meglio alle terapie dell’adulto, e questo ci incoraggia ad andare avanti”.
Attualmente nella donna i maggiori fattori di rischio per contrarre l’HIV sono rappresentati dalla tossicodipendenza e dai rapporti sessuali a rischio o con soggetti sieropositivi, mentre si è praticamente azzerato il rischio, presente in passato, dovuto a trasfusioni di sangue.

Per dovere professionale, in riferimento all’articolo pubblicato la scorsa settimana sul progetto “Diventiamo amici” – incentrato sull’inserimento scolastico dei bambini affetti dal virus – precisiamo che i bambini che hanno partecipato all’esperienza appartengono al circolo didattico numero 2 di Santarcangelo di Romagna e al circolo didattico numero 5 di Rimini. In totale vi hanno preso parte undici classi elementari e dodici materne, quindi scolari di età compresa fra tre e undici anni.


Franco Cavalli