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Generazioni in rete

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 5 minuti
ven 23 mar 2018 09:25 ~ ultimo agg. 26 mar 22:32
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Vi è capitato di perdere le staffe su un commento su Facebook e di rispondere talmente pesantemente che, tempo dopo, avete stentato voi stessi a riconoscervi? Beh, non spaventatevi (troppo), siete di una “vecchia” generazione, che avendo viste nascere Internet e compagnia cantante considera “quel” mondo come virtuale. Semmai state attenti, perché per legge “quel” mondo tanto virtuale non è, con tutto quel che può conseguirne da un punto di vista legale, polizia postale compresa. E’ il “dramma” di essere adulti oggi, di essere cresciuti smanettando sulla consolle Commodore o Spectrum, di aver visto Tron al cinema. Ecco, prendete esempio dai vostri figli, invece: sono cresciuti con Internet – anzi, glielo avete messo in mano voi tablet e cellulare per farli stare buoni a tavola. E vi siete stupiti pure di quanta agilità hanno avuto nell’apprendimento! – ed ora che sono adolescenti la distinzione reale vs virtuale non esiste: dentro o fuori la Rete le relazioni umane sono tutte reali. Parlare con un amico vis-a-vis o via chat è pur sempre parlare. Perché «le giovani generazioni vivono Internet come un dato di fatto, una cosa che è sempre esistita ed è una dimensione che li affascina molto – dice Michele Piga, psicologo dell’età evolutiva – perché è ricca di contenuti e di possibilità che per loro sono di grande attrazione».

Michele Piga, insieme a Carolina Marinelli, Nicoletta Russo, Irene Canini, Giulia Negrini, Davide Nicolini, forma il gruppo che gestisce i laboratori “Tra social e realtà”, rivolti agli adolescenti che la Cooperativa Sociale Cento Fiori ha organizzato insieme alla scuola Franchini di Santarcangelo nell’ambito del progetto regionale Pratica-mente. Un’occasione di crescita per i ragazzi, ma anche un’occasione per noi adulti per sapere qualcosa di più dei nostri figli e, in filigrana, anche qualcosa di più su noi stessi. Perché, se è vero che conviviamo da anni con la Rete e i suoi strumenti, è anche vero che ancora non ne conosciamo la portata, con le sue zone d’ombra sulla nostra psiche e la capacità di stupirci che hanno certi commenti o comportamenti, nostri o di altri, su Facebook.

Perché è vero che ci sono delle differenze generazionali nell’uso della Rete, dei social, della tecnologia, è vero che i ragazzi ci lasciano stupiti nella velocità di apprendimento e di utilizzo di questi strumenti. Ma queste differenze sono così incolmabili? E sopratutto, relegano l’adulto pre Internet in una dimensione “paleolitica” senza scampo? No, anzi, si ha molto da dare, come adulti. Ma anche da imparare. «La mente del bambino è molto elastica, con una rapidità di apprendimento elevatissima, che l’adulto non ha più, perché è nella natura delle cose. Ma la naturalezza non significa che sono “esperti”. I bambini hanno passione e agilità, ma non hanno la consapevolezza. – spiega Michele Piga – Sono capaci di utilizzare un motore di ricerca, ma non hanno le competenze per capire se le informazioni sono veritiere o bufale. Sia adulti che ragazzi cascano nel tranello, come con le pubblicità mascherate da notizie: in questo gli adulti e i ragazzi hanno una incapacità sovrapponibile, sono ugualmente incapaci. Ma noi adulti abbiamo ancora un ruolo educativo e non possiamo lasciare i ragazzi soli di fronte al mondo delle tecnologie. E’ una sfida gigantesca, ma necessaria: gli adulti devono crescere su queste competenze».

Ma cosa provano i ragazzi, cosa sentono davanti ai loro schermi, ogni mercoledì dalle 14,30 alle 16,30 quando cominciano i laboratori alla scuola Franchini di Santarcangelo?. «Le Questioni che i ragazzini pongono – ci dice Michele Piga – vanno dalle richieste più pratiche (come si fa ad aprire un profilo Instagram?) a domande che vanno a toccare i loro timori della vita su Internet. Convive una fascinazione per questo mondo ma anche una consapevolezza che ci sono dei rischi di cui hanno sentito parlare, ma che non conoscono realmente. Si chiedono, ad esempio, se gli hacker sono persone cattive. La parola hacker ricorda loro discorsi che hanno sentito dai loro compagni, di cybercrimini, di intrusione dei siti, e ne hanno paura, ma anche ne sono affascinanti, perché significa avere un potere enorme. Lavoriamo con i ragazzi facendo capire loro che i rischi nella rete ci sono, ma Internet, gli smartphone, i computer sono strumenti, e quindi possono essere più o meno positivi o negativi a seconda dell’uso dello strumento che se ne fa».

A questo punto possiamo immaginare che esplodano le domande… E infatti: «La prima volta sulla questione degli hacker abbiamo mostrato il codice Html che forma le pagine web: è stata una rivelazione. Hanno scoperto che essere hacker è un ruolo che conferisce molta potenza ma che bisogna studiare un sacco. E questo è stata una doccia di realtà: dietro al mondo che li intrattiene tante ore ci sono comunque cose da apprendere con difficoltà. La filosofia dei laboratori è di trasferire ai ragazzi nuove consapevolezze e nuove conoscenze, che loro fanno proprie. Certo, si gioca e si chiacchiera, ma si permette loro di portare a casa qualcosa che fa parte delle loro vite quotidiane. Una cosa che fai tutti i giorni diventa più consapevole».

«Qualche giorno fa abbiamo parlato – continua Michele Piga – di come spesso in Rete quello che nasce in uno scherzo possa trasformarsi in qualcosa di molto dannoso. E quindi le immagini registrate, i video, tutto quello che poi si può trasformare in cyberbullismo. Sicuramente incuriositi e partecipi, i ragazzi sentono che questo argomento li riguarda da vicino. A volte hanno un’idea abbastanza vaga delle probabilità di diventarne vittime, sopravvalutano la protezione che possono avere in rete. Sopravalutano il livello di controllo che possono avere sulla propria privacy. Sottovalutano la facilità con cui una loro foto potrebbe essere condivisa al di fuori della cerchia di destinatari. Devono capire come sia possibile concretamente che un contenuto sfugga al loro controllo».

«Il problema è che che molto spesso non conoscono i casi di cyberbullismo. Esiste un bosco digitale nel quale non ci sono lupi cattivi ma altri ragazzi come loro che provocano dei danni significativi ai loro amici. Parlando di questa cosa è emerso come il cyberbullo sia il lupo cattivo, ma abbiamo ragionato insieme sul fatto che, a volte, chi fa partire la catena di episodi di cyberbullismo pensa di fare uno scherzo innocente, senza considerare l’impatto emotivo che avrà sulla vittima. Se non ci si riflette abbastanza, quindi, chiunque può diventare autore di atti di violenza online e arrecare gravi sofferenze agli altri. L’inconsapevolezza, tuttavia, non solleva dalla responsabilità dei danni provocati: la Legge non ammette ignoranza».

Ascoltando l’esperienza dello psicologo – e dei nostri ragazzi – torna impellente la domanda sul ruolo che possono avere gli adulti. «Noi adulti abbiamo ancora un ruolo educativo, come dicevo, e non possiamo lasciare i ragazzi soli di fronte al mondo delle tecnologie. Dare un’educazione al digitale non significa essere più bravo del ragazzo nell’utilizzo delle macchine, perché quel che un adulto deve passare al bambino non sono le istruzione per l’uso (se le crea da solo), ma sono concetti più complessi, che hanno a che vedere con il senso: dare senso a quello che fai in Rete. L’esperienza on-line è una cosa vissuta di pancia, vissuta sul momento. L’adulto ha questo ruolo fondamentale: portare il ragazzo a riflettere sul senso delle sue esperienze. Inoltre i genitori non sono soli, c’è la scuola. Nelle loro esperienze i ragazzi fortunatamente parlano anche di progetti che hanno fatto a scuola, con i loro professori. Sicuramente è positivo che la scuola si sia attivata su queste tematiche e che i ragazzi abbiano una traccia, una memoria, il che significa che sono esperienze che hanno lasciato il segno, hanno colto la loro attenzione».

 

Enrico Rotelli