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Politica Provincia

Direzione Pd. Concluso confronto dopo debacle elettorale. Gli interventi

di Redazione   
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mar 27 mar 2018 10:44 ~ ultimo agg. 27 mag 12:26
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Otto ore di dibattito con una sessantina di interventi suddivisi in due distinti appuntamenti per permettere a tutti di mettere sul piatto la propria analisi (vedi notizia). Lunedì sera si è conclusa la direzione del Pd provinciale chiamata a confrontarsi sui deludenti risultati del 4 marzo e sulla necessità di rimettersi in carreggiata in vista, in particolare, delle amministrative del 2019 che vedranno nel riminese 17 comuni al voto.

Non è una resa dei conti, perché non ci sono conti da regolare. Stiamo discutendo di una sconfitta senza precedenti per la storia della sinistra italiana“. Ha detto nel suo intervento Maurizio Melucci che è anche tornato sulla questione “modello Rimini”. “Dopo le elezioni – ha detto – vi è stato chi ha fatto una considerazione politica conseguente al risultato delle elezioni: il modello Rimini non esiste. In questo caso non vi era nessuna critica all’azione amministrativa, ma l’idea di esportare la coalizione che ha vinto le elezioni amministrative del 2016 sul piano romagnolo e forse regionale. Il voto alle politiche ha dimostrato la totale inconsistenza politica di quel progetto, nonostante fosse candidato una dei teorici di questa proposta, Sergio Pizzolante, ed ampiamente sostenuta in campagna elettorale dal Pd. L’elettorato di quella lista civica ha votato centro destra, anzi una buona parte Lega. Ebbene questa valutazione politica ha fatto innalzare un fuoco di sbarramento per stroncare sul nascere questa discussione. Non è lesa maestà al sindaco Gnassi. E’ un confronto necessario. Non funziona, semmai ha funzionato, un uomo solo al comando. E non funziona neanche prendere atto di scelte fatte in pochi e poi che debbono essere ratificate senza poter obiettare nulla“.

Intervenuta anche Emma Petitti. “La stagione delle divisioni a sinistra ha penalizzato tutti, il centro sinistra e i fuoriusciti” ha detto. “Non possiamo dividere il partito in schemi preordinati – ha proseguito – i responsabili da una parte, e i rancorosi dall’altra, i riformisti da una parte, e i gufi dall’altra“. Rivolta al segretario Giannini: “non parliamo di scontri tra bande, non ci sono capi bande qui, c’è un partito che vuole discutere, decine di interventi, articolati, e serve dare cittadinanza a tutti questi”. E infine: “E se siamo consapevoli che il nostro territorio provinciale e il territorio regionale sono contendibili non possiamo pensare di vincere con formule politiche, modelli; perché quando cambiano le condizioni e abbiamo i 5 Stelle in campo, le carte si rimescolano“.

La sconfitta è un epilogo scritto da tempo. Questo l’affondo dell’ex segretario provinciale Juri Magrini.Era evidente da anni, ed io lo dico da anni in questa Direzione, inascoltato“. Tranciante il commento sul “modello Rimini” e sulle alleanze: Patto Civico non è un modello politico, non esiste nella realtà e non può essere esportabile. E’ figlio di una situazione locale e di un contesto, quello del Comune di Rimini del tutto unico. Altrimenti come lo spieghiamo lo sconvolgente risultato di Civica e Popolare di Pizzolante che nel Comune di Rimini prende lo 0,81%“. Vorrei che affrontassimo il tema delle alleanze locali per quello che sono e non per quello che qualcuno vuole millantare.” Per chiudere rilevando che “in quelle realtà che governiamo da anni mi pare nessuno si sia mai sognato di dire che sono modelli da esportare , perchè? Sono vincenti anche quelli, ma lo sono perché rappresentano situazioni e contesti locali particolari.

Non mi interessano le polemiche né le rivendicazioni, mi interessa oggi avere chiaro come ripartire a Roma e nei nostri 17 Comuni perché il 2019 è già ieri“. Queste le parole di Andrea Gnassi. Il sindaco di Rimini auspica un Pd perno di un progetto riformatore che si allarghi al centro, a sinistra e ad un civismo sociale e dell’impresa ma senza “alleanza politiciste o accordi elettorali” ma sulla base di “idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità“.

Adesso abbiamo toccato il fondo, tutti. Non ci sono sassolini, non ci sono scarpe, c’è un futuro da ripensare completamente“. Lo dice il segretario comunale Alberto Vanni Lazzari che suggerisce di ripartire “dai territori, dalle periferie,usciamo dai circoli piuttosto che aprirli, riattiviamo ogni connessione con la società civile. Facciamolo con l’umiltà di dire abbiamo sbagliato, abbiamo perso di vista la missione di un partito, si riformista, ma prima di tutto popolare.”

Parlando della prossima tornata elettorale l’ex segretario del Pd di Riccione Marco Parmeggiani, dimessosi nel giugno scorso dopo la sconfitta alle amministrative, di rivedere le alleanze “non certo utilizzando alchimie mal composte, o ancor meno compagini male assortite”. Nel mirino finisce Patto Civico definito “un misterioso connubio di capitò ed opportunità politiche che, dopo solo una timida apparizione, sono già finite nell’oblio della politica.
Del resto gli oltre 8.000 voti alle amministrative di Rimini, divenuti improvvisamente poco più di mille, così come allo stesso modo gli oltre 2.000 voti di Riccione ridotti ad un lumicino di poco superiore ai 110 voti.


Alcuni degli interventi

Maurizio Melucci, ex vicesindaco di Rimini e assessore regionale

Spiace che questa discussione, vera e partecipata, dopo anni, venga relegata a un litigio. Oppure come è stato scritto ieri, “la solita musica, che ricorda quella suonata sul ponte del Titanic”.

Mi spiace perché non ci sono conti da regolare, ma stiamo discutendo di una sconfitta senza precedenti per la storia della sinistra italiana. Forse in altre parte della regione ad iniziare da Bologna si suona sul ponte del Titanic.

Ma la nostra discussione non è un litigio ma analisi e soluzioni diverse.

Se Sandro Gozi, dice che è arrivato il momento di superare il Pd, un partito ormai “insufficiente” e che il movimento macroniano potrebbe essere una buona base di partenza per la rinascita del progressismo italiano e la rifondazione del progressismo europeo”. Citazione testuale. Rispondo ma anche no.

Ma non è un litigio. Sono prospettive politiche diverse. Evidente che abbiamo necessità di questa discussione, appena iniziata.

Troppe volte negli ultimi anni non vi è stato dibattito, confronto. Troppe volte è stata fatta una discussione tra sordi, senza ascolto reciproco. Le direzioni nazionali si concludevano come iniziavano.

Un dibattito più approfondito si sarebbe dovuto fare dopo la sconfitta del referendum. Ma si è scelta una strada diversa poco utile.

Mi auguro che l’assemblea nazionale di Aprile faccia scelte diverse dalla conta. Non sarà semplice. Mi pare che ancora permanga, almeno in una parte, la volontà di una classe dirigente travolta dalle proprie responsabilità di rovesciare su altri colpe che sono interamente sue.

Ed anche un’assuefazione che coinvolge una parte di militanti e iscritti tuttora convinti che la via di una possibile riscossa passi dalla insistenza su una strategia che gli eventi hanno dimostrato paurosamente fragile.

Per queste ragioni ritengo che si debba cercare il sentiero di una rifondazione, di pensiero, presenza, di ricostruzione del senso di una comunità politica. A Roma e a Rimini.

Dopo le elezioni vi è stato chi ha fatto una considerazione politica conseguente al risultato delle elezioni: il modello Rimini non esiste. In questo caso non vi era nessuna critica all’azione amministrativa, ma l’idea di esportare la coalizione che ha vinto le elezioni amministrative del 2016 sul piano romagnolo e forse regionale. Il Pd alleato di una lista (Patto Civico) che doveva rappresentare il ceto medio riminese con una visione programmatica lontano dai populismi. Modello in qualche modo riproposto a Riccione (con i noti risultati).

Il voto alle politiche ha dimostrato la totale inconsistenza politica di quel progetto, nonostante fosse candidato una dei teorici di questa proposta, Sergio Pizzolante, ed ampiamente sostenuta in campagna elettorale dal Pd. L’elettorato di quella lista civica ha votato centro destra, anzi una buona parte Lega.

Ebbene questa valutazione politica ha fatto innalzare un fuoco di sbarramento per stroncare sul nascere questa discussione. Non è lesa maestà al sindaco Gnassi E’ un confronto necessario. Non funziona, semmai ha funzionato, un uomo solo al comando. E non funziona neanche prendere atto di scelte fatte in pochi e poi che debbono essere ratificate senza poter obiettare nulla.

Vedo all’orizzonte il cosiddetto partito dei Sindaci. Non quelli del Pd. Ma quelli ex 5 Stelle e vagamente civici capitanati da Pizzarotti. Sono tutti sindaci al secondo mandato. Sono tutti sindaci che hanno vinto le elezioni contro il Pd.

E qualcuno pensa che questi possano essere l’asso nella manica per le prossime elezioni regionali? Qualcuno pensa che Domenica Spinelli, sindaco di Coriano, possa essere la candidatura con un valore aggiunto per il centro sinistra? Non scherziamo. E’ puro politicismo. Non solo: facile leggerla come ricollocazione di ceto politico.

Ritengo sia utile potere fare questa discussione senza essere richiamato all’ordine oppure venire bollato come rancoroso, gufo o rosicone.

Siamo di fronte ad una sconfitta storica e le ragioni sono profonde. Renzi ha fatto bene a dimettersi ma pensare che tutta la colpa sia la sua non è vero. Questa sconfitta ha tanti padri, certo con responsabilità diverse.

Ma è responsabile di questa sconfitta, il partito, il governo i padri nobili (Prodi che non vota Pd, Letta che non vota Pd, ma Insieme).

Anche chi ha deciso di uscire dal Pd invece di fare una battaglia interna.

Responsabilità diverse. Tra chi aveva le leve del comando e chi no. Tra chi diceva che andava sempre tutto bene e chi poneva problemi.

Ma oggi abbiamo di fronte una sfida di sopravvivenza politica. Per questa ragione serve guardare oltre alle idee ed alle polemiche del passato.

E’ vero quando si dice che la sconfitta italiana è in linea con le sconfitte della sinistra europea. E’ vero ma non cambia e non sposta nulla del problema.

Infatti perdiamo per le politiche del tutto inadeguate che la sinistra ha offerto in Europa e non solo.

Avevamo in coalizione un lista che voleva più europa. Ma quale Europa ce la vogliamo porre? Quelle delle differenze salariali e fiscali che producono concorrenze sleali? Quella dei governi che rifiutano di farsi carico dei problemi dei migranti? Quella dei burocrati europei che guardano alla crescita con i parametri, esclusivi di Mastrich. Quella con una politica estera in ordine sparso? Questi temi una sinistra riformista e radicale si deve porre in Italia ed in Europa.

In questa campagna elettorale noi abbiamo sostanzialmente spinto su due aspetti. Ciò che abbiamo fatto al governo (io do un giudizio complessivamente positivo, pur non condividendo la politica dei bonus) e bollate come impraticabili le proposte del centrodestra (flat tax e Fornero) e 5 Stelle (reddito di cittadinanza). Vero.

Ma non bolliamo tutto come populismo o demagogia. In realtà è stata una campagna elettorale tra chi nella società si sentiva in qualche modo incluso e chi invece si sentiva escluso. Gli esclusi del Sud senza prospettiva, gli elettori del Nord preoccupati dalle tasse e dai migranti, per questo si sentivano esclusi dalle politiche di governo. In Italia non è in atto un confronto/scontro tra Populismo e riformismo. Ma tra inclusi ed esclusi

Noi riferimento degli inclusi (ma anche Forza Italia) Lega e 5 stelle degli esclusi per la questione sociale o preoccupati per la sicurezza. Inclusione ed esclusione non solo per motivi economici ma anche legati alla qualità urbana in senso ampio.

E poi il populismo. Lo abbiamo usato anche noi nel passato recente: la rottamazione, la casta, i costi della politica, l’abolizione delle province, l’Europa criticata perché dei banchieri. Su queste parole d’ordine il Pd prende il 41% alle Europee supportato dalla novità di Renzi

Non si affronta questa sconfitta con un ritorno al passato come qualcuno preoccupato pensa dentro il Pd. Quale passato? Le ricette della socialdemocrazia europea sono tutte inadeguate perché non sono in grado di superare le singole politiche nazionalistiche.

Perché non sono in grado di affascinare e soprattutto non sono in grado di rispondere alla globalizzazione. Dobbiamo lavorare ad una proposta alternativa e credibile alle proposte di Lega e 5 Stelle. Meno racconto, meno dati sul Pil e più consapevolezza dei problemi.

Ripartire dalle ragioni della sconfitta, iniziare a proporre politiche nuove, fare del Pd un luogo di discussione e di confronto, aperto e senza casacche precostituite.

In gioco non c’è il destino di qualche carriera politica, ma il destino della sinistra riformista del nostro paese.Anche per questi motivi sono contrario a qualsiasi sostegno a governi politici. Il centrodestra non lo prendo neanche in considerazione ma neanche i 5 Stelle. Noi abbiamo perso le elezioni, spetta a chi ha vinto dare un governo o una prospettiva.

Un ultima considerazione. Il prossimo anno vi saranno elezioni amministrative importanti. Sento dire che sono altre elezioni, contano i programmi ed i profili dei nostri candidati. Ricordo che le ultime tornate amministrative le abbiamo perse. A Rimini ed in Italia. La differenza di voto è sempre più debole, anche in Emilia Romagna. Non abbiamo molto tempo.

Emma Petitti, assessore regionale

Una bella discussione partecipata e plurale alla Direzione del Pd. Il mio contributo.

Abbiamo fatto tutti questa campagna elettorale e abbiamo sentito tutti il vuoto attorno, l’isolamento, ma che il disastro sarebbe stato di tale portata nessuno poteva immaginarlo, anche se le premesse c’erano tutte.

I 5S sono divenuti il primo partito, il centrodestra la prima coalizione, a Rimini, come in regione, come nel paese.

La stagione delle divisioni a sinistra ha penalizzato tutti, il centro sinistra e i fuoriusciti. Ora siamo nella fase della ricomposizione, della rigenerazione del PD e dell’intero schieramento del centrosinistra.

Occorre elaborare il lutto, temo che non abbiamo compreso sufficientemente la portata del rischio che abbiamo di fronte e dobbiamo superare quella pretesa e presunta superiorità intellettuale, che poi non trova riscontro nei consensi degli elettori.

I nostri territori, la nostra regione, sono contendibili e se non individuiamo insieme uno Scatto, sul piano della reazione, probabilmente non riusciremo a recuperare. Serve quindi una profonda consapevolezza e unità per affrontare insieme le prossime scadenze amministrative, locali e regionali.

Sono stata anche io segretaria provinciale, e so quanto è dura reggere la tensione in alcuni momenti. Ma se la comune sfida da cogliere, è ripartire insieme, dopo aver affrontato una profonda e onesta analisi, una discussione che ci faccia aprire una fase Nuova, diversa; non possiamo dividere il partito in schemi preordinati, i responsabili da una parte, e i rancorosi dall’altra, i riformisti da una parte, e i gufi dall’altra. Perché è riduttivo, serve ad alimentare le tifoserie ma sono semplificazioni inutili sul piano della comune battaglia, che è quella di delineare un nuovo profilo del Partito Democratico, alternativo al centro destra e al m5s. E allora Segretario non parliamo di scontri tra bande, non ci sono capi bande qui, c’è un partito che vuole discutere, decine di interventi, articolati, e serve dare cittadinanza a tutti questi.

Siamo gruppo dirigente di questo partito, sia quando si vince, assieme, sia quando si perde, assieme. Non si scappa, e io non sono mai scappata, non sono mai fuggita dal confronto, e ritengo che le sconfitte non si insabbiano stando zitti pubblicamente; soprattutto se vuoi recuperare quegli elettori che ti hanno voltato le spalle votando, M5s, Lega, LeU o quelli che semplicemente stanno a casa perché non si riconoscono nella nostra proposta politica.

Quindi non sottovalutiamo la portata di questo risultato. Facciamo una Riflessione Profonda nel Partito ma che coinvolga anche il campo che lo circonda, la Società.

Per me era la discussione che avremmo dovuto fare all’indomani del referendum, che ci offriva esattamente lo scenario che in modo enfatizzato ci hanno consegnato le urne del 4 marzo. E cioè che ci sono 2 Nazioni nel nostro Paese, il Nord e il Sud, la città e la periferia, gli adulti e giovani. Se avessimo provato a fare quella discussione dopo il referendum, forse, avremmo potuto attenuare l’effetto di un’onda che indubbiamente c’è e che ora non possiamo semplicemente limitarci ad enunciare, perché correremmo il rischio di consegnare noi stessi alla contemplazione di ciò che accade, non facciamolo, evitiamo ora questo errore. E cioè di non voler vedere che il voto ci ha consegnato un doppio bipolarismo. Il bipolarismo tra gli INCLUSI rappresentati dal PD e da Forza Italia (da quell’idea delle larghe intese già bocciata con il referendum del 4 dicembre) e tra gli ESCLUSI, che sono la maggioranza e che hanno scelto di votare il m5s e la Lega.

Il populismo è egemone nei settori popolari, e torna un voto privo di ideologia, ma di classe. Sostanzialmente, la collocazione sociale ha la sua proiezione nel comportamento politico, cosa che non accadeva da tempo.

Il populismo o quello che noi chiamiamo populismo (forse dovremmo riconsiderare le parole), è stato un impasto di antipolitica, campagna sulla sicurezza e questione sociale. E allora non si può fronteggiare l’antipolitica inseguendo il populismo sul suo terreno e agitando parole d’ordine che alla fine hanno rafforzato i populisti.

Noi, siamo stati inefficaci sul terreno della Questione Sociale e se ne siamo consapevoli e se oggi finalmente ne siamo consapevoli serve cambiare radicalmente rotta e rifiutare quell’atteggiamento definito il cadornismo, la persuasione che una cosa sarà fatta perché un dirigente ritiene giusto e razionale farla in barba al rischio del sacrificio. Evitiamo il cadornismo, il conformismo, le ipocrisie e ritroviamoci come comunità politica e solidale intorno ad una nuova prospettiva.

E se siamo consapevoli che il nostro territorio provinciale e il territorio regionale sono contendibili non possiamo pensare di vincere con formule politiche, modelli; perché quando cambiano le condizioni e abbiamo i 5s in campo, le carte si rimescolano.

E allora noi abbiamo bisogno di ricostruire un campo largo, competitivo, aperto al centro ma molto largo a sinistra. Non alla sinistra politica ma ai contenuti e ai valori della sinistra.

Lo si è fatto nel Lazio, lo si era fatto prima a Milano, non lo si è fatto con le elezioni politiche, ora lo si dovrà fare alle prossime scadenze amministrative comunali e regionali.

Per la prima volta sappiamo che la nostra regione è contendibile da parte del centro destra a trazione leghista e una lettura del voto in tutta la nostra regione dice chiaramente che non esistono più zone dove lo ‘zoccolo duro’ ci protegge dal rischio di perdere le elezioni. Semplicemente perché lo ‘zoccolo duro’ non c’è più. Esistono delle enclave che hanno permesso di eleggere i nostri parlamentari. A Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna ma fortemente ridimensionati nel consenso. I voti li abbiamo mantenuti nei centri urbani, dove la gente sta meglio, perdendoli nelle periferie che una volta davano voti sicuri alla sinistra. E anche da noi, anche in Emilia-Romagna, il centro destra è competitivo trainato dalla lega che è alimentata dai voti dei ceti popolari in particolare dagli operai, dal mondo del lavoro dipendente, Piccoli imprenditori e categorie minacciate dalla globalizzazione dei mercati.

Il movimento cinque stelle attraendo il voto di sinistra deluso ci indebolisce nella nostra compagine favorendo la maggior capacità competitiva del centro destra.

COSA FARE. Nel merito della proposta politica e nelle forme di ricostruzione di un nuovo campo di centro sinistra.

È chiaro a tutti noi che non è bastato dire quello che abbiamo fatto, anche se di cose ne sono state fatte. E non è bastato nemmeno il distinguo tra ciò che abbiamo fatto noi e le proposte del m5s.

Reddito di Inclusione/ Reddito di Cittadinanza.

O Dibattito sui Costi della Politica.

Io credo sia mancata una proposta convincente e chiara su come intendiamo ridurre e contrastare le diseguaglianze sociali.

Il grande tema è e resta quello di capire come favorire la creazione e la redistribuzione della ricchezza. Oltre alla coesione sociale che in questa regione a permesso di tenere insieme il mondo dell’impresa e il mondo del lavoro.

È vero che la crisi viene da lontano ma il divario sociale si è acuito negli ultimi anni.

-LE PERSONE SI SONO IMPOVERITE. Sono diminuiti i diritti di chi lavora, le tutele, gli ammortizzatori sociali.

Pensione a 67 anni, precarietà ancora a 30 anni, lo stato sociale si taglia….

È a rischio povertà anche chi lavora.

È di sabato lo studio della CGIA di Mestre che dice che le persone a rischio povertà sono aumentate del 4% raggiungendo il 30% della popolazione. Le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18 milioni. (Se guardiamo l’Europa…In Francia e Germania il rischio povertà è addirittura diminuito).

-C’è un tema poi di dimensione competitiva delle imprese anche sul piano della tutela della sicurezza del lavoro e rispetto dell’ambiente e di regole europee a tutela anche della concorrenza nella comunità europea.

-C’è il tema di come rilanciare il dibattito sul valore della sanità pubblica e del nostro Welfare in Emilia-Romagna in termini di efficienza anche in rapporto al privato.

-C’è il tema di come declinare la solidarietà, tenendo insieme l’accoglienza dei rifugiati e degli immigrati con il tema della sicurezza, prevenendo le derive alimentate dalle paure e dal senso crescente di insicurezza (figlia del disagio sociale ed economico che diventa anche disagio sul piano culturale).

Quello dell’immigrazione è stato un tema di fortissimo impatto in questa campagna elettorale e come tenere insieme la capacità solidaristica di questa regione, accogliente da sempre, rispetto al tema di insicurezza che attraversa orizzontalmente e verticalmente questa società, in cui le ricchezze si concentrano nelle mani di pochi, il 5% della popolazione ha il 40% della ricchezza prodotta, e i tanti hanno paura di chi è più povero è più debole di loro…

Porta ad una percezione profonda di insicurezza. E tutto ciò alimenta la Paura che è la principale miscela del populismo.

E non basta di fronte alla paura, che è un tema che riguarda il futuro, non basta raccontare le cose buone che abbiamo fatto nel presente e nel recente passato. Perché in questa campagna elettorale lo abbiamo fatto, lo abbiamo fatto tutti.

La gente vota per quello che si aspetta e non soltanto per quello che pensa di aver ottenuto o conquistato. Vota per la speranza per andare oltre la paura.

-E poi i Giovani. I giovani che sono stati i grandi esclusi dalla nostra campagna elettorale, non abbiamo parlato a loro, dando prospettive per il loro futuro, DANDO STRUMENTI E CONTENUTI. Coniugando Opportunità, meriti e bisogni.

La Politica è etica è idea del mondo io devo darla questa idea del mondo e lo strumento per avviare il cambiamento….per i giovani….

Edoardo diceva: chiedevo ai miei coetanei di votare Pd, nelle iniziative lo chiedevo ma non arrivavano risposte.

Diamo risposte ai temi posti da Edoardo e dai giovani. Di quello ci dobbiamo preoccupare.

Quindi facciamola questa discussione, facciamola in maniera profonda, onesta, ed evitiamo di richiamare i temi e lasciarli cadere perché non possiamo permetterci le reticenze.

Sarà una lunga fase di transizione. Non ci sono rivincite veloci. Non ci sono. Perché lo abbiamo detto tutti la sconfitta è dura e serve una fase costituente che affronti ancora una volta, se pur partendo da premesse diverse, una discussione sulla Forma Partito. Perché noi oggi abbiamo un problema assolutamente inedito. Un centro sinistra diviso a metà: un campo è andato all’esterno e un campo ha radicalizzato la sua ostilità nei confronti di quelli che sono andati fuori. Contrapponendo queste due sfere noi non recupereremo mai la vocazione maggioritaria.

C’è il problema di costruire un dibattito che parli per quanto possibile all’esterno e che sia in grado di non tagliare i ponti con chi ha votato altrove, ma continua a guardare con attenzione a cosa succederà nel PD. Non diamoli per perduti tutti. Perché altrimenti ci rassegniamo a questo risultato.

Ecco perché secondo me non basta dire in questa fase che noi siamo all’opposizione.

E non possiamo limitarci a rinfacciare accuse al M5S di inciucio.

Noi abbiamo messo in campo soluzioni migliori? No, si è preferito assistere ad un accordo destra-M5S. È stata una scelta non discuto. Ma in parte è anche il segno del disarmo, politico e culturale, con cui siamo arrivati fin qui. Quello che è accaduto alle Camere è semplicemente la Politica. Ed è il proporzionale. Di Maio e Salvini l’hanno capito.

Sperare nella disfatta degli altri non ci porta vantaggi. La linea aventiniana non ci da autorevolezza. Affidiamoci alla Costituzione e al presidente Mattarella e vediamo se riuscirà a incaricare una figura di alto livello istituzionale capace di individuare un programma e una sintesi tra forze politiche.

Juri Magrini, consigliere comunale Rimini ede ex segretari provinciale Pd

Sarebbe da opportunisti stare nascosti in attesa di tempi migliori, atteggiamento che non mi appartiene, quindi credo sia giusto intervenire e dire quello che si pensa perché voglio bene al PD e mi auguro che si smetta in questo partito di interpretare le cose che i vari soggetti dicono sempre con il retro pensiero ,queste sono le dietrologie che fanno male al PD, impariamo a dare ai pensieri il valore che hanno e non altro per convenienza”.

• Siamo stati protagonisti della sconfitta più cocente della storia recente della sinistra soprattutto della storia del PD. Credo nessuno possa negarlo.

• ROTTURA SENTIMENTALE – Era già scritto da tempo questo epilogo, io dico da come abbiamo gestito il dopo 4 Dicembre era evidente che saremmo arrivati qui. Era evidente da anni, ed io lo dico da anni in questa Direzione, inascoltato, e lo ha detto finalmente anche qualche autorevole esponente nazionale come Minniti “C’è stata una rottura sentimentale tra il Pd e il Paese”. Quando si diceva e dico da anni che siamo diventati antipatici e siamo percepiti come il partito delle Banche e degli interessi mi riferesco a questa rottura sentimentale con la nostra gente. Oggi leggo queste parole nelle dichiarazioni di tanti nostri Dirigenti Nazionali e territoriali. Bastava forse ascoltarsi prima per provare ad evitare questa debacle. Sono anni che usiamo parole d’ordine come Innovazione, Start Up , Maker, che sono importanti e fondamentali per capire e gestire il futuro ma non sono comprese dal popolo, che puntualmente dopo che non capisce cosa dici, si infuria e ti vota contro. Perchè usiamo parole di pochi per pochi. Anna Finocchiaro ha detto dopo il voto “Abbiamo avuto l’ambizione di essere la rappresentanza politica della parte più “moderna” della società italiana, per contribuire alla crescita del Paese imprimendo ad essa il segno delle uguaglianze di opportunità, del contrasto alle disparità e alle discriminazioni, della legalità e della coerenza con un quadro di crescita europea e con le stesse regole dell’Unione.
Bellissimo. Ma non ha funzionato. Le sorti magnifiche e progressive, che pur nel morso della crisi abbiamo giustamente difeso, non hanno parlato all’Italia”. E neppure i giovani che comprendono quei paradigmi ci hanno votato, io penso che al contrario del popolino non ci hanno votato perchè ci hanno capito.
• AZIONE DI GOVERNO-Ma non è solo questo, abbiamo e credo sia ora di affrontarlo in maniera critica e consapevole con l’onestà intellettuale che serve , anche il giudizio sul nostro operato di Governo ,perchè io credo il voto del 4 Marzo sia figlio anche di quello e non del destino cinico e baro o perchè il vento soffia a destra( anche perchè il vento soffia a destra da anni) ricordate quando ci dicevamo che il PD dopo le Europee del 2014 era l’unico che vinceva in Europa? La nostra azione di governo è stata giudicata negativamente, faccio 3 esempi JOB’S ACT(renzi) CULTURA(franceschini) SICUREZZA(minniti), tralascio la scuola ed altri esempi , 3 architravi dell’azione di Governo tutte e 3 bocciate dalle urne. La gestione dell’Immigrazione è stata disastrosa. Poi quello che succede a livello locale nella gestione dell’accoglienza, con le barricate in alcune realtà a noi vicine e lasciando in mano alla demagogia di Sindaci irresponsabili la sciabola che poi ci avrebbe tagliato la testa alle elezioni del 4 Marzo è la ovvia conseguenza. Faccio altri 2 esempi per capirci ancora meglio: RIFORMA PROVINCE di Del Rio, nei giorni scorsi i nostri consiglieri regionali sono intervenuti a chiedere un cambio di passo perchè ci sono problemi. Problemi? Abbiamo fatto un disastro con la riforma delle Province e poi ci stupiamo che non prendiamo voti? Il debito Pubblico Fonte Bankitalia è aumentato di 23,8 MILIARDI a Dicembre 2017 salendo a 2.279,9 MILIARDI , crescendo nelle Amministrazioni Centrali di 23,3 Miliardi e solo di 0,5 il debito nelle Amministrazioni Locali. Mentre le entrate tributarie sono state di 33,7 MILIARDI in calo -1,6 MILIARDI rispetto a Gennaio 2017, poi non cadiamo dalle nuvole se i cittadini votano M5S o LEGA xchè al Governo da 7 ANNI ci sta il PD. Allora credo che se non faremo delle analisi serie anche sull’azione di Governo, ci potremo assolvere con le parole d’ordine la gente vota i Sovranisti e i populisti ma continueremo a perdere. Sono belle le parole che hanno espresso alcuni consiglieri regionali dicendo che il PD è cambiamento, vero peccato che però per 7 anni di Governo noi siamo stati percepiti come la conservazione del potere e il cambiamento è stato CAMBIARE NOI. Ribadisco facciamo analisi di merito altrimenti non arriveremo mai a capire un voto così devastante.
• GUFI- Dire queste cose non è essere GUFI è voler bene al PD. Basta ipocrisie, basta il finto “volemose” bene, o capiamo che abbiamo avuto un atteggiamento altezzoso e arrogante, perchè cosi siamo percepiti fuori da casa nostra o non andremo da nessuna parte.
• MESSAGGI ARISTOCRATICI- Basta messaggi del tipo TERRAZZA PD dove dissertavamo amorevolmente dei problemi delle PERIFERIE E DEGLI ULTIMI dall’ultimo piano di via del Nazareno su poltroncine di legno TECK con vista Panoramica della Capitale.
Basta selfie in camminata a braccetto del proprietario dell’industria quando per trovare la porta della mensa aziendale dobbiamo usare googlemaps. Poi dopo non lamentiamoci se gli operai votano per i populisti e per i sovranisti.
• NARRAZIONE DEL PAESE E PER POCHI è stata sbagliata, la favola che prima facciamo ripartire l’economia e poi aggiustiamo le cose non ha retto e non regge per un motivo semplice: se Confindustria Romagna dice che nel secondo semestre del 2017 c’è un + 9,8 % di fatturato , un + 10% di produzione e un + 5 % di occupazione e a questo non corrisponde un incremento della REDITRIBUZIONE DEL REDDITO e dei DIRITTI , il divario e l’incazzatura aumenta e gli elettori , la nostra gente non ci vota più. Poi non ci dobbiamo stupire che dentro una debacle elettorale come questa il PD tiene solo nei grandi centri urbani borghesi e facoltosi. Se non affrontiamo questo livello di discussione continueremo a prendere sberle elettorali.
• RIVEDERE RADICALMENTE LA NOSTRA LINEA POLITICA- quando dico , da anni inascoltato, dobbiamo cambiare radicalmente e repentinamente strada mi riferisco a questi elementi, se non lo facciamo è a rischio anche il futuro del PD . Viviamo in una SOCIETA’ ESPLOSA, divisa tra GARANTITI E NON . Non esistono più categorie come un tempo, operai , impiegati, commercianti, architetti o avvocati, La precarietà li ha messi tutti sullo stesso livello . Mi fa sorridere chi parla ancora di ceto medio quando non ci sono più differenze nel tipo di impiego ma solo tra chi CE LA FA E CHI NO AD ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE. E noi se continuiamo a raccontare la favola di “sto con Marchionne tutta la vita”, continueremo a perdere, perchè la nostra gente , ormai non più nostra ,non ci riconosce più. Noi che siamo stati i protagonisti della TERZA VIA in salsa italiana dal pacchetto TREU in poi ,siamo visti come quelli che hanno contribuito a creare le condizioni della PRECARIETA’. Dire queste cose non è lesa maestà è fare un confronto nel merito nell’interesse del PD e del CENTROSINISTRA. Abbiamo avuto bisogno che queste cose le dicesse un marxista-leninistra un vetero comunista come CALENDA per metterci di fronte alle nostre responsabilità . Dice CALENDA:” il problema non è Renzi ma 25 anni di errori”.”La sinistra è morta xchè ha dato un messaggio motivazionale , invece che di spiegazione e comprensione della realtà. Se parli con le tesi di Alesina e Giavazzi, e cioè che bisogna difendere il lavoro e non i posti di lavoro, un operaio del tornio prende il fucile e spara .E’ quello che è successo nelle urne il 4 Marzo”.
• ALLEANZE- dobbiamo ricostruire quel tessuto di relazioni e rispetto con tutti gli interlocutori del nostro campo politico. Sarebbe facile dire :come si fa a costruire una legge elettorale come il Rosatellum che prevede i collegi e poi non essere conseguenti con la costruzione delle alleanze?
• Ci vuole UMILTA’ per provare a ricucire con tutti ,ripeto tutti gli interlocutori del centrosinistra se vogliamo provare a ricostruire un campo largo .
• RIMINI E ALLEANZE/ MODELLO RIMINI- ha ragione la nostra vice segretaria quando dice che non è colpa di PIZZOLANTE E DEL MODELLO RIMINI se abbiamo perso anche qui e siamo arrivati terzi e la LEGA a Rimini (Provincia) è passata da 3.170 voti del 2013 a 31.658 passando da uno 1,59% a un 19,72%. Dicevo, ha ragione semplicemente perché quello di PATTO CIVICO non è un modello politico, non esiste nella realtà e non può essere esportabile. E’ figlio di una situazione locale e di un contesto, quello del Comune di Rimini del tutto unico. Altrimenti come lo spieghiamo lo sconvolgente risultato di CIVICA POPOLARE di Pizzolante che nel Comune di Rimini prende lo 0,81%. Penso bastino questi numeri per riportarci tutti al fatto e non all’opinione che quello del MODELLO RIMINI non esiste nelle urne. Vorrei che affrontassimo il tema delle alleanze locali per quello che sono e non per quello che qualcuno vuole millantare. Dico questo perché nel 2019 avremo le amministrative e andremo al voto anche in amministrazioni riminesi in cui siamo al governo, pensate un po’, con i rappresentanti dei “sovranisti e populisti della LEGA NORD “e con quelli che qualcuno definisce “ incapaci ad amministrare” del M5S.
In quelle realtà che governiamo da anni mi pare nessuno si sia mai sognato di dire che sono modelli da esportare , perchè? Sono vincenti anche quelli, ma lo Sono perché rappresentano situazioni e contesti locali particolari.

Andrea Gnassi, sindaco Rimini

Non si può prescindere dal guardare ciò che avviene a Roma, sia dentro che fuori dalle fila del Patito democratico. Ogni discorso che possiamo fare, che dobbiamo fare, rischia di essere datato visto un quadro in veloce evoluzione che, oramai, brinda al probabilissimo accordo tra 5 stelle e Lega/centrodestra. E’ uno scenario con il quale tocca fare i conti, a Roma come nella nostra provincia, in vista delle amministrative dell’anno prossimo.

Il Partito democratico ha perso su lavoro, protezione/sicurezza, tasse/burocrazia. Questi gli argomenti che ci hanno portato a un progressivo scollamento con le comunità e i territori. Sì, è vero, abbiamo affrontato quegli argomenti ma senza la capacità di creare un legame unico, un’unione di intenti, in grado di dare risposta all’unica questione ormai fondamentale in tutto il mondo: inclusi ed esclusi. Ma non è solo quello, se si pensa che una larga fetta delle elites, intellettuali in primis, si è riposizionata all’istante sui partiti anti sistema. C’è un problema di sostanza, c’è un problema di messaggio, c’è un problema di veicolo del messaggio stesso. Ci sono stati problemi di personalizzazione, evidenti e macroscopici, ma sarebbe sbagliato scagliarsi verso un solo, individuato, capro espiatorio.

Dobbiamo uscire dal miraggio del tutto e subito, della rapidità senza profondità, della ricetta, della formula magica, per entrare invece in quella di un riformismo estremo. Stare a metà del guado non paga. Riformismo radicale significa non buttare bombe o fare le barricate ma essere conseguenti sino alla fine con le proprie scelte valoriali. Di centrosinistra. Il tema è quello della ridistribuzione della ricchezza; abbiamo visto come abbiano vita breve le politiche degli incentivi e delle mance. Ma adesso tocca a noi cambiare completamente gioco. La questione delle tasse e della burocrazia la si risolve davvero se si spinge sull’autonomia dei territori. Autonomia di decidere la tassazione per mantenerne i proventi sul territorio. Dobbiamo avere il coraggio di andare fino in fondo e dire che l’autonomia deve essere a 360° perché è questo che ci configura come forza politica, che aumenta gli investimenti e che permette di risolvere problemi che sono di tutti noi e tutti i giorni, senza farne ogni volta una questione accademica, incomprensibile. Sulla sicurezza, ad esempio, sulla linea Minniti siamo andati lunghi, tardi e non del tutto convinti. Se la Lega costruisce il suo link sentimentale con il popolo attraverso il referendum sull’autonomia, per fortuna il guizzo di Bonaccini in Emilia Romagna permette di bypassare il desiderio centralista di Roma. Dobbiamo abbattere le rendite, le incrostazioni che tengono fermo il Paese. Con coraggio, senza fermarsi a metà, senza interrompersi per il timore di perdere un consenso. Dobbiamo essere forza moderna e propulsiva perché – vedrete – 5 Stelle e Lega metteranno insieme restaurazione, reazione e paura. Ma non per questo, almeno nel breve periodo, perderanno appeal.

Abbiamo fatto tante cose buone, ma senza trasmettere una visione del Paese. Non basta evocare lo sviluppo, occorrono anche veri e propri strappi tematici. Sono gli atti politici che danno identità e l’identità il nuovo PD non se la darà facendo accordi con le rendite ma rompendole, stando anche all’opposizione ma rompendole. E dobbiamo cercare intese, alleanze, accordi con i pezzi di società, le persone, che ci stanno a portare avanti questa visione. Qui non si tratta di trovare uno scherma di gioco che va bene a tutti, non si tratta di elaborare la ricetta che piace indistintamente da Nord a Sud. Il Partito Democratico era nato per essere e fare altro.

Entro un anno 17 Comuni della nostra Provincia andranno al voto amministrativo. In tutti e 17 i Comuni la perdita di consensi per il centrosinistra tra politiche 2013 e 2018 si attesta sul 9,03 per cento, con punte di -12%. In tutti i casi siamo al terzo posto, venendo dietro 5 Stelle e centrodestra, con distacchi in doppia cifra. Come ci riprendiamo dalla botta del 4 marzo? Come ci riorganizziamo per cercare la rivincita nei prossimi 12 mesi? Non mi interessano le polemiche né le rivendicazioni, mi interessa oggi avere chiaro come ripartire a Roma e nei nostri 17 Comuni perché il 2019 è già ieri. Lo misuriamo ogni giorno nelle città che abbiamo l’onere e l’onore di guidare: essere radicali nel governo di una realtà territoriale o di un intero Paese, vuol dire costruirsi un’identità, una riconoscibilità, una nettezza su proposte che alla base devono avere il coraggio delle scelte. Coraggio delle scelte, ad esempio, su un nuovo stato sociale, riconoscendo che tra i bisogni delle persone e lo Stato, non ce la fa più ad esserci solo lo Stato, ma ci può essere un welfare di comunità, uno stato sociale di comunità; coraggio delle scelte sulla riconversione di un modello di sviluppo non centrato sul consumo di territorio, ma sui grandi motori della cultura, dei servizi e delle tecnologie su cui si formano e trovano occupazione i nuovi lavoratori; coraggio delle scelte sull’accoglienza delle persone, che implica solidarietà, ma anche fermo rigore verso chi non si vuole integrare e non sta alle regole. Perché, ad esempio, non troviamo la forza di dire, anche a livello locale, che i richiedenti asilo possano e debbano offrire un contributo in lavoro vero e non simbolico alle comunità che li ospitano? Serve un progetto riformatore centrato sul coraggio delle scelte, come quello che stiamo cercando di armonizzare per la realizzazione dell’area vasta della sanità romagnola. Un progetto per il quale non abbiamo fatto accordicchi, messo qualche pezza o cercato mediazioni al ribasso. Al contrario, abbiamo concretizzato un progetto difficile ma dichiarato, fortemente riformatore, sul quale abbiamo investito superando i campanili, cercando di garantire la migliore sanità ed i migliori medici ad ogni cittadino, senza distinzione di censo e reddito, in una fascia territoriale di 100 chilometri ed al massimo a 40 minuti da casa di ciascuno. O come il recente processo di unificazione delle agenzie della mobilità e del trasporto pubblico romagnolo, realizzato per dare al futuro della mobilità un ambito adeguato e prospettico per gli investimenti ecocompatibili e per continuare a garantire la fruibilità nei territori più disagiati e per le fasce sociali meno autonome. Serve un Partito Democratico perno di un progetto radicalmente riformatore e che, sulla base di questo, coltiva e cerca relazioni e alleanze sociali profonde e non alleanze di ceto politico. Un PD perno di un progetto riformatore che si allarga al centro e a sinistra, a un civismo sociale e ad un civismo dell’intraprendere, dell’impresa, delle professioni. Un allargamento non centrato su alleanze politiciste o accordi elettorali immediatamente percepiti come ‘di plastica’ e dunque con scarsa o nessuna capacità espansiva, ma centrato su idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità.

Resta inteso che questa direzione, così partecipata, con un numero di interventi che non si vedeva da anni, un segnale lo ha dato. Un segnale di unità e di voglia di ritrovarsi. Ripartiamo da qui.

Alberto Vanni Lazzari, segretario comunale Pd Rimini

Abbiamo subito una sconfitta storica. Il peggior risultato della sinistra nella storia repubblicana. La situazione del Pd è drammatica.

Perdiamo nei luoghi del lavoro da Fincantieri, Monfalcone, a Piombino, al Sulcis. Ma sopratutto in quelli del non lavoro, in tutto il Sud.

Perdiamo nella nostra regione. Ormai lungo tutta la via Emilia la coalizione vincente è quella di centrodestra, il primo partito è il M5s e l’exploit maggiore è quello della Lega.

Perdiamo nella nostra città capoluogo dove solo due anni fa avevamo vinto la scommessa elettorale su un programma di rinnovamento.

Teniamo nel centro storico. Teniamo sopratutto nei centro storici delle grandi città. Un tracollo che non va liquidato spostando la scala di misurazione sui “venti” dell’Europa o al prezzo da pagare al nostro senso di responsabilità.

Su temi come la sicurezza, il lavoro, l’immigrazione, l’equità sociale, diventa sempre più difficile distinguere tra livello locale e dimensione nazionale. Anche le buone politiche amministrative vengono politicamente sconfitte di fronte a vicende estreme come quelle di Macerata.

Non esistono, purtroppo, format vincenti e replicabili.

Si dovrà lavorare sin da subito per costruire coalizioni sempre più larghe, aperte al centro, al civismo ed a sinistra. Riprendendo il confronto con tutti i corpi intermedi. Il tema delle grandi alleanze è stato superato dai fatti.

Dopo il trionfo del 2014 alle Europee abbiamo subito un continuo arretramento accompagnato da letture superficiali su cosa stava realmente accadendo.

Cerchiamo di farla noi come gruppo dirigente allargato una riflessione più profonda. Facciamolo adesso.

Personalmente conservo due fotografie emotive di questa intensa campagna elettorale, opposte ma in relazione: un militante con la sua storia politica in prima fila durante un’assemblea, gli occhi gonfi,arrossati, specchio di un travaglio impossibile da trattenere.

Dall’altra il candidato di coalizione presso il nostro gazebo aperto a tutte le forze alleate, che richiede ai volontari la rimozione della bandiera del Partito Democratico.

In mezzo c’è tutta la nostra storia, fatta di valori, di appartenenza e allo stesse tempo di nuove prospettive, della necessità di riformarci nel confronto con una società in continua mutazione.

In mezzo c’è appunto, la dignità di una comunità politica.

Abbiamo perso tutti, é vero, Fuori dal recinto del partito e nella percezione dell’opinione pubblica abbiamo perso con la nostra arroganza, ci hanno identificato come il partito preferito dalle classi abbienti, dagli intellettuali, dalla borghesia illuminata, dagli imprenditori più capaci, in una parola dalle eccellenze di questo nostro Paese.

Dobbiamo ritornare a essere a nostro agio anche con gli ultimi, con persone che non ci riconoscono più come potenziali punti di ascolto.

Le avvisaglie del disastro erano sotto gli occhi di tutti, bastava liberare lo sguardo per scorgerle, o per lo meno ascoltare con umiltà tutte le voci. Già … il Titanic è affondato trascinando in mare tutto e tutti, nonostante l’immenso iceberg. Speriamo anche l’algido gergo da rottamazione.

Dopo lo shock del referendum piuttosto che cercare risposte consolatorie nelle conferma del 40 per cento si doveva ripartire da quel 60 per cento che ci ha detto NO. Cercando di capirne le ragioni.

Adesso abbiamo toccato il fondo, tutti. Non ci sono sassolini, non ci sono scarpe, c’è un futuro da ripensare completamente.

E si può fare solo accantonando la pulsione facile alla leadership forte e puntare su una collegialità costruttiva.

Se la selezione della classe dirigente è mediata solo dai rapporti di forza e dalla fedeltà di corrente, all’ obbedienza cieca, l’esito è uno solo. mediocrità e cecità per l’appunto.

Attaccare e schernire Gigi Di Maio per la sua “sgrammatica”, il modesto curriculum o il vestito da centro commerciale è un’esibizione di presunta superiorità intellettuale che giustifica l’elevazione dello stesso Di Maio a simbolo di speranza sociale per tutti quelli che cercano una forma di riscatto. A partire dai giovani.

Oggi dobbiamo interrogarci sui motivi di questo evidente scollamento con la società, sul fallimento di una proposta politica risultata inadeguata, su come rimettere in moto la nostra comunità e, in fin dei conti, sulla nostra identità e la nostra visione del futuro.

In questi anni abbiamo assistito a momenti di approfondimento di parte, com’era la Leopolda, o a conferenze programmatiche svuotate di senso e di anima, come l’ultima di Napoli o ai contenuti interessanti ma a tutt’oggi congelati della nostra conferenza provinciale di Settembre.

Occorre una nuova fase costituente del partito.

Da 10 anni, l’età del PD, ad ogni sconfitta parte il solito mantra ..apriamo i Circoli, parliamo con la gente. Ricevuto. Per Rimini rivendico la tenuta del partito locale proprio grazie all’azione sinergica dei Circoli dai tempi dello stallo politico del 2013 quando le dinamiche erano sostanzialmente simili. I Circoli, almeno qua a Rimini sono sempre aperti. Il problema adesso e capire per dire e fare cosa.

Stendo poi un velo sulla funzione prevalente riservata ai volontari: montatori di Gazebo, attacchini di manifesti, service di distribuzione porta a porta, pubblico stanco di eventi sempre più autoreferenziali. Insomma, ..quelli delle feste dell’Unità. Le poche rimaste.

Quelli che in 6 anni di governi di responsabilità non hanno mai avuto la possibilità di essere consultati su alleanze, riforme previdenziali, buona scuola e buon lavoro. Ovvio, era il tempo dell’emergenza, delle responsabilità. Movimentati solo per la conta dei leader alle primarie.

Si. Ripartiamo dai territori, dalle periferie,usciamo dai circoli piuttosto che aprirli, riattiviamo ogni connessione con la società civile. Facciamolo con l’umiltà di dire abbiamo sbagliato, abbiamo perso di vista la missione di un partito, si riformista, ma prima di tutto popolare.

Facciamolo anche a Rimini, riprendendoci quello spazio di ascolto e interlocuzione che altri hanno occupato agitando le pance e la paura della gente, vedi il comitatismo. Ripensiamo seriamente a modalità partecipative per il confronto sulle scelte politico-amministrative più importanti per la vita delle persone. L’elettore c’è lo ha detto, anche le riforme magnificate come buone e necessarie, se non socializzate, vengono percepite come ingiuste e calate dall’alto.

La prima riforma che ci aspetta è quella che deve partire da oggi, tra di noi, sul senso che vogliamo dare al nostro stare insieme in un partito chiamato non a caso democratico.

Sara Donati, presidente Cons. Com. Rimini

Abbiamo mancato l’appuntamento con un grande cambiamento, già in atto da anni peraltro, destinato a modificare la nostra epoca, a cambiare anche il perimetro delle nostre decisioni future: mai dal dopoguerra ad oggi l’insieme dei partiti che si riferiscono al centro sinistra ha registrato, anche sommato, un risultato tanto basso. Sono stati fatti molti errori ed mancato di coraggio di ascoltare e innovare.
Chi mi conosce sa che ho uno spirito costruttivo e continuo ad avere una visione collegiale del partito, per mia estrazione e cultura. Estrazione e cultura che mi ha fatto e mi fa mal tollerare i personalismi, ecco perché è arrivato il momento di rigenerare il partito.
Credo che oltre ai vertici -per rilevanza i maggiori responsabili- vi sia anche una intera classe dirigente corresponsabile, nessun escluso.
E allora se devo trovare un problema nel nostro partito oggi, e non ne abbiamo solo uno, lo trovo nella ricostruzione della nostra identità.
Siamo stati nel tempo coloro che hanno saputo tenere insieme impresa e lavoro, perché dalla nostra parte avevamo i lavoratori e occorre tornare ad averli.
Sapevamo dialogare con le categorie sindacali, oltre che lavorare con quelle economiche.
Sapevamo tenere insieme i bisogni delle persone deboli e in difficoltà, difenderle, e occorre tornare a farlo. Modernizzare un partito non significa rivoltarlo, significa riconoscere la pluralità e tracciare rotte di senso. C’è stato troppo autocompiacimento nell’azione di governo e anche la scelta di avere yes man e yes woman, l’ho trovata irreale, artefatta.
La società attuale, richiede uno sforzo maggiore: le dinamiche economiche impongono per chi è ai vertici, competitività e la capacità di esercitare la critica costruttiva per saper rappresentare le diversità e bisogni. Quegli stessi bisogni sono emersi dalla campagna elettorale che abbiamo faticosamente fatto.
Disoccupazione, immigrazione, povertà, tasse. Sono le priorità non solo di quei giovani che già da anni ci hanno manifestato le loro disillusioni, loro le hanno manifestate ma tra noi c’è chi non ha ascoltato. Quelle sono le priorità anche dei 35 45enni perché non ci ritengono in grado di sviluppare per loro stessi ora e per i loro figli poi, condizioni se non migliori almeno uguali a quelle dei padri. Ed é in quella fascia che abbiamo più perso consenso.
Nessuna tenerezza quindi tra noi possiamo dircelo, occorre fare una analisi seria, priva di decisioni univoche o peggio calate dall’alto, si finirebbe così per rompere e disgregare ci siamo già passati, abbiamo perso, non voglio tornarci. Ecco allora che accolgo positivamente la collegialità del reggente Martina. Un pluralismo vero, imprescindibile connotato per la vita democratica.
Sul voto del 4 marzo, tralascio molti dati già emersi da altre relazioni, ne sottolineo uno drammatico: La delusione dei nostri votanti dal 2013 ad oggi. Nel 2014 alle europee eravamo al 40,8% nel 2018 siamo al 19% ma il dramma è che solo la metà di loro ci ha rivotato: il 50,2%.
Il restante 15,6% non è proprio venuto a votare, il 15,6% di coloro che ci avevano scelto nel 2014 sono rimasti a casa. Il 34,8 ha cambiato strada: il 16,8% per m5s e 8,4% alla coalizione di cdx il 4% per leu. A Rimini il dato è anche peggiore del nazionale, sulle politiche 2013 abbiamo perso come PD 7671 voti, un po’ meno come coalizione ma è una emorragia.
Recuperare questi elettori con politiche concrete senza lotte intestine, sarà indispensabile, dovrà essere l’obiettivo di tutti noi perché il 2019 è vicino per i comuni che vanno al voto, sono vicine le elezioni regionali e le europee.
Veniamo ad alcuni temi che hanno connotato e definito le politiche passate: il dopo di noi, il testamento biologico, le unioni civili, la legge contro il caporalato, sono solo alcune delle buone riforme fatte, sono la prima a riconoscerle ed ad averle sostenute, così come allora nessun timore a dirci che ci sono differenze tra noi, in questo nostro PD. Occorre ricomporle, ricomporre significa allora anche prendere decisioni diverse sulle politiche del lavoro, sull’esercizio della democrazia, sul legame con gli altri.
Sulle politiche per il rilancio attuando una decontribuzione sui costi del lavoro detassando ad esempio quelle aziende che reinvestono utili in impresa.
Vengo ai deboli, agli esclusi: sono giovani neet senza lavoro e formazione, sono i disoccupati di qualsiasi età e i precari sono 5,7 Mio in Italia e con pensioni al minimo e la mancata possibilità di ricorrere alla previdenza complementare avremo un esercito di persone a rischio povertà.
Un breve approfondimento dal mio settore professionale: imprese e lavoro.
In uno scenario internazionale fatto di innovazione tecnologia, digitalizzazione commercio on line e disintermediazione dei consumatori, nel territorio e a livello locale abbiamo ricerche di personale soprattutto per cuochi, camerieri, addetti alle pulizie delle camere. Sempre a Rimini gli ultimi dati del 2017, ci consegnano 66% di contratti a tempo determinato, mentre esigua è la percentuale a tempo indeterminato, per lo più si assumono apprendisti. Serve qualità del lavoro non solo numero di contratti, anche perché se assumo per tre giorni, poi ti lascio a casa e ti riassumo così altre quaranta volte in un anno, arrivo a 120 gg di lavoro ma non si può certo parlare di un posto di lavoro che possa far prefigurare una prospettiva per costruirsi un futuro.
A proposito di futuro e lavoro non abbiamo fatto abbastanza e resta uno dei temi maggiormente problematici in Italia come a Rimini. Il 63% dei bambini che oggi sono a scuola, farà un lavo che oggi non esiste. Saranno data scientists, capaci di analizzare l’enorme mole di dati a disposizione ed estrarne informazioni preziose, costruttori e riparatori di parti del corpo e nanomedici, esperti di agricoltura verticale e genetisti dell’allevamento. Dal mondo economico e del lavoro potremmo imparare molto ad esempio, a non rinunciare a guardare con coraggio all’innovazione. Chi entra oggi nelle aziende viene apprezzato soprattutto la capacità di stimolare il cambiamento. Negli ambienti aziendali la tendenza è di ridurre il senso della gerarchia, lavorando allo stesso tempo sulla capacità di concretizzare le idee. Per questo non si potrà più prescindere dalla capacità di lavorare in gruppo e fare rete.
Il tema lavoro è un appuntamento mancato a livello nazionale. Per una intera generazione di persone, non solo i giovanissimi dai 14 ai 25 anni ma i giovani adulti dai 25 ai 35 anni (oggi precari o alla ricerca di opportunità migliori all’estero)
Dobbiamo riconquistarcelo e per guardare in casa nostra partiamo da una disoccupazione giovanile che a Rimini è al 30,6%.
In Germania ad esempio hanno ulteriormente ridotto l’orario di lavoro per la contrattazione metalmeccanica a 28 ore. Favoriscono così l’ingresso dei giovani, il ricambio e tengono insieme le generazioni. Una politica di sviluppo economico e di welfare seria dovrà allora prevedere nel previsionale per il rei reddito di inclusione, come affrontare il tema di una intera generazione.
Una riflessione poi e vado verso le conclusioni, sulle modalità e sui toni usati da alcuni esponenti nel Pd. Un modo a me lontano per storia e formazione. Io non credo che i milioni di elettori che non ci hanno votato siano tutti irragionevoli o sciocchi. Non credo siano facinorosi, estremisti o creduloni. Troppo facile etichettare così per stereotipi e ricette. Il mancato rispetto dell’elettore si paga e in campagna elettorale c’è chi ha esagerato. Credere di essere superiori non solo è antipatico ma sintomo di poca capacità autocritica. Se a guidarci saranno la ragionevolezza e il confronto, insieme alla capacità di argomentare sui problemi, potremo recuperare credibilità come partito. Attenzione quindi all’arroganza alla saccenza tipica di chi crede di appartenere ad una elité di intelligenti. Le continue denigrazioni e il dileggio che ho visto così tanto utilizzato soprattutto sui social, sono deleteri. Serve serietà e competenza e ne abbiamo nel PD.
Sull’immigrazione e sulla percezione di sicurezza non si può minimizzare o peggio mettere sotto al tappeto. A quelle paure dobbiamo rispondere senza richiamare fantasmi, o allarmismi, non possiamo prendercela con chi ha paura. Semmai servirebbe guardare a fondo quelle paure e sono convinta ci troveremo bisogni che non hanno avute risposte adeguate.
Un breve passaggio infine sulle novità che vanno assolutamente lette: oltre il 60% tra gli eletti non ha avuto precedenti incarichi nazionali politici segnale di una spinta forte verso il bisogno di novità.
Il PD invece ha rieletto il maggior numero di parlamentari con alle spalle esperienze di carattere nazionale. Sul totale eletti il 34% sono donne; non poche, se non fosse che (guardando al mio di Partito) non hanno responsabilità di alto livello e incarichi ai vertici.
Tra i partiti che storicamente hanno portato avanti le lotte per l’emancipazione e la parità di opportunità ci siamo noi, il PD.
Anche in questo caso abbiamo mancato l’appuntamento con la storia: siamo solo il III° partito a livello nazionale per numero di donne elette, ci superano anche in questo caso M5S e CDX che hanno creduto di più nel cambiamento e hanno saputo intercettare davvero il bisogno di rappresentanze con candidature forti, anche di donne.

Barbara di Natale, consigliere comunale Rimini

Ormai è sotto gli occhi di tutti il voto del 4 marzo è stato un voto disastroso per il PD, un PD che è sceso al 18,5%, credo che ci sia il rischio serio del fallimento del progetto partito democratico del centrosinistra.
In Emilia-Romagna rispetto alle precedenti elezioni politiche il partito democratico è passato dal 37% al 26,4% come coalizione, ed ha perso ben oltre 9 punti percentuali, siamo al secondo posto come schieramento perché battuti dal centro destra. A questo punto la nostra regione è davvero contendibile.
Un dato politico preoccupante che a mio giudizio è emerso, è che forse in “tutta” la classe dirigente non c’è stata una piena consapevolezza di quello che è accaduto il 4 dicembre e di conseguenza il 4 marzo.
Credo che dopo la “batosta” del referendum si sarebbe dovuta fare una analisi più approfondita e precisa, con confronti continui per analizzare il voto nel dettaglio e cercare di capire il perché gli elettori ci hanno dato quel segnale così chiaro.
Invece ci siamo avviati alle elezioni politiche senza capire quello che stava succedendo nel paese, il centro sinistra si è completamente sconnesso da quei mondi che ha sempre rappresentato, come i ceti più popolari, il mondo della scuola, la sciagurata riforma delle Province e tutte quelle fasce di lavoratori che non hanno trovato risposte rispetto ai temi della crisi.
Quindi l’elettore deluso, ha spostato il voto verso forze populiste che hanno saputo interpretare quel disagio e lo hanno incanalato con un voto di protesta vedi M5S – LEGA.
Mentre il PD è stato percepito come il potere come l’establishment ed è stato punito.
Io credo che in questi anni il PD non ha saputo leggere al meglio i cambiamenti della società mi riferisco alla guerra tra poveri italiani e poveri immigrati, all’impoverimento del ceto medio con una globalizzazione senza regole che sarà sempre più incalzante, per non parlare delle problematiche relative al lavoro e alla sicurezza.
Credo che ora per ricominciare ad essere credibile e costruire il progetto politico, il partito democratico debba mettere al centro del suo programma una proposta che si radichi con forza ai territori che ascolti veramente i bisogni delle persone e si faccia portavoce dei disagi.
A tale proposito continuerò a portare avanti la riflessione per riattivare nuove forme di partecipazione, dobbiamo necessariamente ricostruire processi socializzanti nei territori, garantire spazi di partecipazione per i cittadini, per favorire la qualità della vita della comunità locale.
Promuovere la partecipazione diretta della popolazione al governo della comunità vuole dire creare una coscienza democratica. Il cittadino si deve sentire parte integrante di una comunità non il problema, per questo è necessario lavorare insieme senza delegittimarci l’uno con l’altro.
Io credo che il partito democratico debba avere la forza, la volontà, la solidarietà che negli ultimi mesi è venuta a mancare e soprattutto a questo punto l’UMILTA’ di accogliere le preoccupazioni, le perplessità, i punti di vista diversi.
Rimettiamoci in discussione apriamo una fase nuova e ripartiamo insieme.
Ho apprezzato la posizione di Martina che è riuscito a fare la sintesi di tutte le prese di posizione, bene ripartiamo attorno alla reggenza collegiale di Martina, ma al più presto visti anche i prossimi appuntamenti elettorali e mi riferisco alle amministrative del 2019 e alle Regionali, che visto il dato preoccupante emerso in Emilia-Romagna non dobbiamo sottovalutare.
Ecco l’analisi che non abbiamo fatto il 4 dicembre facciamola ora, facciamo ripartire il dibattito politico.

Tonino Bernabè

1. DISCUSSIONE E CONFRONTO TRA NOI
Io ritengo che discutere significhi affrontare i nodi politici in maniera critica non sia un modo per dividere il partito o per disunirlo.
L’unità è il risultato di un processo di discussione critica, in cui le differenti posizioni si ascoltano, confrontano e rispettano, recuperando solidarietà all’interno del gruppo dirigente.
Chi esprime posizioni critiche non è un dissidente. I dissidenti esistono solo nei regimi totalitari e non nei partiti democratici.
C’è chi ha parlato di “caminetti” e chi di correnti o di “cerchi” o “gigli magici”. Vogliamo sciogliere le correnti? Sono concorde. Iniziamo da quella costruita attorno all’ex segretario.
2. LEADERISMO MONOCRATICO SOLITARIO E PLEBISCITARIO
Il PD dopo la non vittoria di Bersani nel 2013 e dopo il leaderismo mediatico di Berlusconi si è consegnato al leaderismo monocratico, solitario e plebiscitario di Renzi, interpretando le primarie non come una opportunità, ma come uno strumento per scalare il partito o per regolare i conti all’interno del gruppo dirigente. Le primarie da strumento utile per vincere le elezioni con un gruppo dirigente unito sono così divenute strumento di divisione e regolamento di conti.
Oggi però il rischio è che sopravviva quella cultura (leaderismo monocratico solitario e plebiscitario) anche senza Renzi, oppure che il dopo Renzi – che è passato da dimissioni posdatate a dimissioni effettive- si trasformi nello spettacolo di accordi e accordicchi – non tra correnti – ma tra singole personalità in cerca di riposizionamento (in cui Renzi diverrebbe l’unico capro espiatorio assolvendo il gruppo dirigente che lo ha sostenuto sino al 4 Marzo 2018 da qualsivoglia critica o responsabilità.
A differenza del post referendum del 4 Dicembre 2016 non si può evitare di discutere in maniera critica nascondendosi dietro ad una generica e consolatoria autoassoluzione generale.
Non si tratta di processare nessuno ma di ripartire assieme discutendo il profilo identitario e programmatico del PD (ma questo lo si farà con un congresso credo) e quindi per ora, bene la reggenza collegiale attorno a Martina.
3. LE ELEZIONI NON LE HA VINTE NESSUNO
Dopo il 4 Marzo 2018 emergono le 2 Italie, quella della Flat Tax e delle Imprese del Nord, rappresentata dal centrodestra a trazione leghista e quella del Reddito di cittadinanza e del lavoro temporaneo e precario del Sud (da Roma in giù), (ha attecchito dentro una mentalità assistenzialistica, notabilare e clientelare), rappresentato dai 5 stelle e da Di Maio (negli stati Uniti vinse Trump il migliardario, da noi ha vinto un ex Stuart disoccupato da non sbeffeggiare o demonizzare perché una parte del Paese si è riconosciuta in lui e nel suo programma).
Gli inclusi contro gli esclusi. Il centro contro le periferie. I giovani e gli adulti. I ricchi ed i poveri. La guerra fra poveri italiani contro poveri immigrati e di un ceto medio impoverito dalla globalizzazione e da una concorrenza senza regole. La paura di chi non vuole perdere un benessere così faticosamente conquistato a Nord ed il disagio sociale a sud. Senza considerare poi le problematiche legate alla sicurezza e alla microcriminalità diffusa.
Il centrosinistra si è rinchiuso in una riserva residuale, una enclave, non esiste più l’egemonia rossa del centro Italia (e non ne ha beneficiato nemmeno LeU). Inoltre questa volta gli Italiani sono andati a votare. Persino chi ci votava, ci ha bocciato sonoramente e votato contro. Ha votato il 73% degli aventi diritto rispetto al 75% delle politiche del 2013 ed in Emilia Romagna il 78% contro l’82% delle politiche del 2013. In Emilia Romagna siamo passati dal 37% al 26,4% come coalizione ed in Toscana abbiamo perso meno, passando dal 37,5% al 29,6%.
Ora possiamo constatare senza dubbio che l’Emilia Romagna è davvero contendibile e che non esistono zone franche che si salvano quando ti vota contro tutto l’ex “zoccolo duro”.
Inoltre è prevalsa l’idea del PD da partito dell’emancipazione a partito della conservazione (come ci ha detto Nadia Urbinati). Il PD passa per essere il partito di chi ce la ha fatta.
Poi ha prevalso anche il fattore emotivo, penso a Macerata dove la Lega passa dallo 0,6% al 21% dopo i fatti legati all’uccisione di Pamela. Oppure nelle città industriali come Pomigliano (ricordate “sto con Marchionne senza se e senza ma”, che ora ha già aperto ai cinque stelle) dove il candidato Di Maio ed i 5 stelle ottengono il 65% rispetto al centrosinistra che, tutto assieme, si ferma al 12,5%.
Si è detto della legge Fornero sugli esodati o del Jobs Act.
Il Jobs Act ha permesso di eliminare 200 mila finte Partite Iva ed ha fatto un milioni di posti di lavoro, una metà precari ed a tempo determinato (certamente meglio del lavoro nero) e l’altra metà a tempo indeterminato (grazie agli incentivi e alla decontribuzione), ma in Italia dobbiamo difendere il lavoro e l’occupazione, perché è l’unica condizione per difendere i posti di lavoro, anche rispetto al problema del protezionismo e dei dazi doganali, che danneggeranno gli imprenditori del nord che hanno votato lega e che esportano le loro merci anche negli Stati Uniti o, sul terreno delle delocalizzazioni (vedi il caso “Embraco” di Torino che rischia di lasciare a casa 500 persone e di delocalizzare in Slovacchia dove un lavoratore può essere pagato 500 Euro al mese e l’Europa che ha fatto il rigore sui conti non lo fa sui diritti e sulla tassazione)…. Poi esistono esempi positivi visto l’accordo con i sindacati tedeschi IGM sulla riduzione dell’orario di lavoro a 28 ore.
Tornano quindi all’attenzione temi come la riduzione del costo del lavoro e come la detassazione degli utili reinvestiti nell’impresa e non nella rendita e non in una generica riduzione di tasse.
In Italia la crescita è oggi dell’1,5% ma non è strutturale e cresciamo meno degli altri Paesi Europei (la ricchezza per essere ridistribuita ha bisogno prima di essere prodotta) (siamo nella coda della locomotiva e non nella testa). Inoltre il debito pubblico così alto e la spesa pubblica così fuori controllo, ci limitano in competitività.
Dobbiamo anche considerare che quando cresce la produzione ed il PIL, non si redistribuisce automaticamente la ricchezza a tutti e nello stesso modo (confermando le asimmetrie a svantaggio di chi ha meno e del lavoro, che è l’elemento meno pagato nel mondo produttivo).
Dovremmo poi ricostruire un rapporto di rispetto e confronto con i “corpi intermedi”, senza negarli e senza tornare al collateralismo (vedi intervista del presidente della Legacoop Nazionale Lusetti).
Occorrerebbe inoltre una vera ripresa di investimenti in opere pubbliche. In Italia ad esempio basta una gelata per mandare in crisi le Ferrovie dello Stato. Siamo un Paese fragile.
4. LEGGE ELETTORALE
Il Rosatellum è stato votato dal PD, dalla Lega e da Forza Italia ed ha fatto sì che non vincesse nessuno le elezioni ma:
I 5 stelle sono diventati il primo partito arrivando al 32,5%
Il Centrodestra è la prima coalizione con il 36%.
Il PD è al 18,5% e non è il primo gruppo in Parlamento ma il quarto (e Renzi ha dato la responsabilità a Mattarella per non averci portato al voto dopo la sconfitta referendaria e per avere favorito la nascita del Governo Gentiloni).
LeU si è fermata al 3,5%.
Non ha vinto nessuno, ma il PD ha perso, ed in particolare oltre al PD, ha perso Forza Italia e Berlusconi con ciò che ne resta del patto del Nazareno. La potenziale alleanza tra moderati del centrosinistra e del centrodestra – contro il populismo – è stata bocciata senza appello dagli elettori.
Si si vince al Centro ma al Centro si sono messi i 5 stelle che attraggono voti da ogni direzione, da sinistra a destra.
Il voto utile non si è concentrato sul PD ma in parte sui 5 stelle ed in parte sul centrodestra.
Non hanno avuto consensi i Fascisti di Forza Nuova e Casa Paund.
Il PD deve fare opposizione (sono d’accordo) ma, senza pregiudiziali, ricordo infatti che nel 2013 facemmo la campagna elettorale contro il pregiudicato Berlusconi e poi ci costruimmo il Patto del Nazzareno.
I 5 stelle ci hanno detto loro di no nel 2013 ed oggi da movimento, si istituzionalizzano e, a parti invertite, ci cercano. I cinque stelle devono chiarire la loro collocazione europea e dirci cosa pensano dell’Europa.
Devono superare l’approccio giustizialista e populista e devono dirci come finanzieranno il reddito di cittadinanza ma, dobbiamo anche considerare che non si può fare un governo senza di loro, fosse anche solo per rifare la legge elettorale.
E’ evidente che il PD per non spaccarsi nel gruppo parlamentare tra chi andrebbe con i 5 stelle e chi andrebbe col centrodestra, deve stare all’opposizione ma
ricordo che il ministro Padoan ci ha ricordato che se tra un mese non proponiamo il DEF all’Europa, ritorna il rischio di aumentare l’IVA di un punto, dal 22% al 23% e che il PD non può abbandonare il suo profilo da forza responsabile scommettendo il suo futuro sui disastri del Paese (visto che non ha vinto nessuno).
Quindi il pallino sta nelle mani di Mattarella che dovrà individuare una figura di alto profilo super partes che dovrà tenere assieme tutte le forze politiche o costruire una maggioranza possibile o attorno al primo partito (i 5 stelle) o attorno alla prima coalizione (il centrodestra a trazione leghista).
Se si tornasse al voto, per sapere chi vince, occorrerebbe rifare la legge elettorale passando ad un doppio turno di collegio.
Noi dobbiamo parlare a quegli elettori che ci votavano e ora votano 5 stelle e Lega.
Non possiamo farlo se non mettendoci in discussione e aprendo una fase nuova e diversa nel dopo Renzi.
5. IL LAZIO E IL CENTROSINISTRA
La vittoria di Zingaretti come Presidente di Regione non è di per se una rassicurazione ma tuttavia è n segno positivo, nel disastro generale, di una ripartenza. Non esistono formule politiche che ci mettono ai ripari o ci garantiscano di vincere (i “modelli”), tuttavia indovinare il candidato, avere una coalizione aperta al centro, al civismo ed a sinistra, ci garantisce almeno di competere e di stare in gara.
6. PIANO LOCALE
Sul piano locale io individuo due temi su cui rilanciare la nostra azione:
Politiche di area vasta (la Romagna) per non chiudere semplicemente alla proposta autonomista avanzata dalla Lega sulla Romagna Autonoma. Rilanciare quindi il tema della Romagna sulle politiche,
• Una nuova fase del decentramento partecipativo, che ci faccia recuperare consensi sul “comitatismo” e sulle forze di opposizione che speculano sulle nostre difficoltà a gestire problemi complessi. Credo sia una partita su cui si debba rilanciare per non subire.

Giorgia Bellucci, consigliere comunale Rimini

“Il risultato che ci consegna il voto del 4 Marzo è chiaro, abbiamo perso. Abbiamo sottovalutato il vento che tira in tutta Europa, pensavamo di essere più bravi e di non sentirne gli effetti. Non è stato così. L’ondata populista che è partita con la Brexit, con Trump, il centro sinistra in crisi in tutta Europa è arrivato anche da noi.
Non siamo stati in grado di dare le risposte che i nostri cittadini si aspettavano da noi, da una forza riformista. Ora è il momento dell’analisi, di capire cosa non ha funzionato, dove abbiamo sbagliato, ma poi si RIPARTE.
La fase di avvio di confronto all’interno del partito democratico ha avuto inizio lunedì 12 marzo con la Direzione nazionale tenutasi a Roma. Siamo in una fase delicata in cui ora più che mai dobbiamo essere uniti, compatti. Non abbiamo bisogno di attriti a Roma né tanto meno qui a Rimini che sortirebbero l’effetto di un ulteriore scollamento della base del nostro partito; un partito che deve ripartire ora più che mai con un rinnovato entusiasmo.
Il 4 Marzo ci dice che non abbiamo saputo dare soluzioni ai problemi più sentiti ora come ora dalle persone, IMMIGRAZIONE E SICUREZZA.
Pensavamo bastasse dire tutte le riforme e le cose fatte, e ne abbiamo fatte. Ma le persone non ci ascoltavano perché per loro non era la priorità. La percezione oggi di non essere sicuri in casa propria, di non poter girare in sicurezza per le strade ha spostato il voto, e noi non abbiamo spiegato la nostra idea, come secondo noi si risolve il problema. Non vogliamo costruire muri, non è la soluzione, ma dobbiamo favorire una vera integrazione, punire chi delinque, CERTEZZA DELLA PENA e chiedere una redistribuzione agli altri paesi Europei delle persone richiedenti asilo. Non l’abbiamo spiegato, pensando che non parlandone sarebbe stato meglio. Così hanno vinto i populisti.
Ora siamo chiamati ad un confronto a tutti i livelli partendo dai circoli per portare proposte e individuare il percorso per rilanciare il partito democratico nella società. Una classe dirigente responsabile deve ripensare la forma e l’organizzazione del nostro partito. Dobbiamo partire da un ascolto attivo e partecipato della nostra comunità, dobbiamo costruire un “progetto” insieme, allargare la partecipazione e ritrovare nel rapporto con la gente quel piacere di fare politica.
Dobbiamo lavorare affinché quanto successo in queste politiche nazionali non si ripeta nelle prossime tornate elettorali ormai alle porte.
Per quello che mi riguarda come coordinatrice della segreteria provinciale sto lavorando affinché possano nascere al più presto i circoli tematici per ripensare e ristrutturare a fondo il modo di stare insieme e fare politica. Dobbiamo allargare la nostra comunità, dobbiamo aprirci ora più che mai alle forze politiche di sinistra ma anche quelle di centro moderato e al civismo organizzato, e a mio parere i circoli tematici posso portare persone con idee nuove e con voglia di fare.
Siamo in una fase in cui possiamo decidere se ripartire e rilanciarci oppure sparire. Tante persone si stanno avvicinando a noi perché hanno capito che ora non basta più mettere una croce sul simbolo del PD solo nelle urne ma serve un attivismo vero. Possiamo ripartire più forti di prima, non facciamoci sfuggire questa opportunità”.

MIrna Cecchini, sindaco San Clemente

È la fine di una storia?
Non della nostra!

1. Responsabilità

Le responsabilità di un insuccesso, dirompente, come quello delle ultime Elezioni Politiche del 4 Marzo hanno chiaramente indicato la necessità di un cambio di rotta quanto mai urgente. Inderogabile.
La percezione dell’insuccesso, che per molti è sinonimo d’incapacità di guida, deve, ripeto, deve ammettere il riconoscimento di un dibattito aperto e franco. Scevro da inutili isterismi e da arroccamenti la cui portata futura può condurci ad un ulteriore affossamento della nostra Storia politica. Nessuno può imputare ad altri le ragioni di una sconfitta che ha bisogno di una presa d’atto mediata dal buonsenso e dalla partecipazione dell’intera classe dirigente.

2. Credibilità

Gli elettori hanno punito il PD perché è mancata la credibilità del PD.
Gli esperti politologi parlano di vittoria del populismo (dal mio punto di vista è in realtà una sconfitta dell’intero sistema Italia, ricaduto all’indietro verso modelli che riportano alla mente i vincoli della mera sussidiarietà e dell’intolleranza di remota memoria); del ritrovato vigore degli estremismi in un contesto, quello europeo, in cui i partiti espressione della socialdemocrazia stentano a recuperare il bandolo della matassa.
Abbiamo peccato di credibilità.
Occorre farla rinascere questa credibilità che è andata scemando nel solco di una mancata autorevolezza. Sostituita da forme di autoritarismo di vertice che ha inevitabilmente e profondamente allontanato l’elettorato.
Percepito come il partito del potere a tutti i costi – lo stesso potere che le radici storiche della Sinistra hanno sempre combattuto stringendosi al fianco delle classi più deboli, lottando assieme a loro per il riconoscimento di diritti considerati inalienabili – il PD ha smarrito la strada della lotta sociale, della riconoscibilità, dell’essere differente da altri partiti e movimenti il cui unico scopo è stato ‘parlare alla pancia’; nascondere la polvere sotto al tappeto; promettere soluzioni iperboliche per poi, una volta soli al comando, dimostrare nei fatti di essere ben altra cosa. Di essere estranei al bene della collettività.
Un partito, lo dico ancora, che viene da una Storia antica, le cui radici affondano nel forte senso di responsabilità e di partecipazione attiva alla vita del Paese. Dobbiamo reagire, farci portavoce delle richieste del nostro elettorato e di tutti, affinché sia possibile una rapida risalita. E nelle situazioni di difficoltà che dobbiamo ritrovare il giusto senso della nostra politica.

3. Il nuovo PD

Non mi soffermo, lo faranno altri, sulle percentuali del voto. Sui + e sui – già oggetto di lunghe contese statistiche.
Dico invece che nel nostro ruolo di amministratori della cosa pubblica – io per prima – abbiamo il diritto/dovere di parlare di politica svincolandoci da logiche squisitamente locali e quando dico locali intendo i confini degli enti che amministriamo.
Sul territorio siamo noi i parafulmini dell’espressione dell’insofferenza verso una politica nazionale che è suonata astrusa. Incomprensibile. Il PD di cui oggi siamo testimoni ha perso il contatto con gli elettori di sinistra perché ha fallito nel patto di fiducia stretto con loro.

Fiducia che gli stessi elettori chiedevano si tramutasse in:
1- forti azioni a sostegno del mondo del lavoro che ha perso e sta perdendo la maggior parte dei meccanismi di difesa;
2- a sostegno dei giovani che vanno protetti e aiutati in un percorso di posizionamento sociale e inserimento nel mondo del lavoro;
3- in azioni a sostegno di una solidarietà che è sì accoglienza, e così dev’essere sempre e comunque, ma i cui meccanismi d’emergenza/assistenza non hanno prodotto la partecipazione attiva dei cittadini generando così intolleranza, odio, rifiuto, prevaricazione;
4- in forti azioni a sostegno di un welfare percepito invece come troppo penalizzante, specie dalle fasce sociali già svantaggiate.

Occorre ristabilire il contatto, velocemente, con chi ci ha abbandonato perché si è sentito ‘escluso’ da chi doveva rappresentarlo. E arrivo ad un altro punto. Quello inerente il nuovo PD. A conti fatti – e siamo qui per confrontarci anche su quest’aspetto – non ha pagato la netta virata al Centro del partito.
Non ha poi pagato la politica ‘degli ibridismi’. Non ha pagato – gli elettori sono la prova provata – la scelta di alleanze con quanti non avevano e non hanno nulla da spartire con la Storia del partito.
La scelta di replicare su scala più ampia modelli che potevano avere, ormai è dimostrato il contrario, una ‘ragione’ in ambito locale si è rilevata un disastro. Amplificando il distacco, la disaffezione al voto, la spinta di protesta, la scelta di sponde in profonda antitesi alla nostra. Lo dico senza alcun timore. Mi sento in imbarazzo in un partito come quello attuale. Ma io voglio continuare ad essere di questo partito: perchè questo partito è anche il mio.
Ma per riconoscerlo come tale bisogna dargli un futuro. Rifondarlo. Non possiamo più permetterci la condizione di un solo uomo al comando. Non può più essere così: né a livello nazionale né a livello locale. Dobbiamo ripartire dalle persone che hanno contribuito a fare grande questo partito e proporci un interrogativo: cosa vuol essere il PD?
Ci mettiamo davvero a braccia conserte o invece parliamo e ci relazioniamo con altre forze politiche della compagine parlamentare così come abbiamo sempre fatto nella nostra storia politica? E’ nella nostra essenza, occuparci del confronto politico con lo scopo di far crescere il nostro Paese sia sotto il punto di vista culturale sia in termini di qualità della vita? Sono domande alle quali va data al più presto una risposta.

Mi avvio al termine dell’intervento.

Riprendiamoci ciò che ci spetta. Riapriamo le porte, torniamo in mezzo alla gente.
Non commettiamo più gli errori compiuti. Da qualche tempo, forse da troppo tempo, non parlavamo più di politica ma abbiamo solo recepito direttive dal partito, senza più discuterne, senza nessun approccio critico. Abbiamo dato l’idea di un appiattimento subalterno alle decisioni di altri. Non abbiamo più espresso dubbi, perplessità ed eventualmente disaccordo. Non è questo in fondo che in passato, ha fatto grande il nostro partito? Questa mancanza di confronto ci ha logorato giorno dopo giorno, rendendoci incapaci sempre più di fare sintesi!
Dicevo torniamo in mezzo alla gente, facciamo il loro stesso percorso quotidiano e puntiamo alla creazione di laboratori che consentano l’accesso a chi vuol essere al nostro fianco.

Abbiamo necessità di forze nuove, di persone che ci aiutino a comprendere meglio e subito quali sono le priorità, le richieste, le speranze. Ripartiamo dalla base della piramide. Basta con le torri d’avorio e l’isolamento decisionale e il culto della personalità perchè non vince la persona ma vince la squadra se è capace di pensare. Si è peccato di autoreferenzialità. Dell’essere convinti che ciò che la sola classe dirigente del PD auspicava e metteva in pratica fosse la stessa lente d’ingrandimento utilizzata dalla persone comuni nella vita di tutti i giorni. Ma l’elettore in modo forte e convinto, con l’arma del voto, ci ha detto chiaramente che così non era.

Concludo.
Mi auguro che da qui nasca la volontà di ripartire, di capire, di camminare con fatica nei meandri della società, ci sia la voglia di confrontarci e di tornare a parlare di politica. E’ la politica che ha il dovere di farsi carico dei bisogni della gente di intuirne le esigenze e sollevarla dai disagi…in fondo quello che noi amministratori facciamo o tentiamo di fare tutti i giorni perchè tutti i giorni noi in fondo facciamo politica ed è giusto che di politica, quella vera, si torni a parlare.
Non credo che le riflessioni fatte o che saranno fatte oggi in questa assemblea, siano scontate o retoriche, e non ci ostiniamo a pensarla così perché allora scontato sarà anche un PD, che doveva essere la piu grande forza politica riformista a livello europeo, al 18%.

Marco Parmeggiani, ex segretario Pd Riccione

Oggi ascoltiamo tanti ed innumerevoli appelli al senso di responsabilità, provenienti da più parti, che non possiamo che condividere.
Resta il fatto che, pur estendendo tale dovere al partito tutto, sarebbe cosa buona e giusta che tale senso fosse per primo esercitato da chi, in questi ultimi anni, ha condotto il partito determinandone cammino, organizzazione sul territorio, politiche da seguire, organismi ed organizzazioni di riferimento, sia a livello nazionale che locale.

Bene ha fatto il segretario, a seguito del risultato elettorale a rassegnare le dimissioni, un gesto dovuto, da cui non era di certo possibile esimersi di fronte ad una sconfitta che possiamo ben definire storica.
Sconfitta a cui ovviamente non va richiamato il solo segretario, ma a tutto l’intero gruppo dirigente, anche se con responsabilità ben diverse e facilmente identificabili.

In fondo non ci stiamo riferendo ad una semplice disquisizione teorica, ma stiamo basandoci su dati, fatti, analisi e risultati che, in tutta la loro amara concretezza, esprimono lo stato minimale a cui è giunto oggi il Partito Democratico e bollare, come in parte sta accadendo, chi richiama ad un raffronto su temi e sostanza, come i classici rosiconi e rancorosi a prescindere, è proprio il modo sbagliato di iniziare una discussione che deve essere assolutamente franca, seria e leale.
Ma ci si può sentire davvero in pace, almeno con il proprio elettorato, con le sole dimissioni del segretario, mentre segreteria e direzione restano in carica, come nulla fosse successo?
A Riccione, nel nostro piccolo e non certo dopo una batosta, ma dopo aver perso per un soffio, ci siamo proprio comportati così, tutti, democraticamente, a casa.
Oppure che questa regola, aulica per quanto non scritta, valga solo per la base, e perda del tutto il suo valore salendo di “categoria” ?

Penso che sia, democraticamente parlando, davvero inusuale che l’attuale gruppo dirigente continui a gestire il partito dopo una simile prestazione.
Ricordo a tutti che sono le destre ad essere affezionate al “boia chi molla”, e che per un grande partito di sinistra dovrebbe essere diverso, molto diverso.
Va ovviamente da sé che, visti gli impegni che ci si troviamo oggi a fronteggiare, con l’elezione dei presidenti delle due camere e la formazione della compagine di governo, sia più che mai opportuno restare in sella, ma che questo non diventi domani un alibi per non cambiar nulla.

In un partito che si chiama democratico, quando si perde così malamente, TUTTO il gruppo dirigente, ed a tutti i livelli, deve trarne le conclusioni, e non il solo segretario.
In pochi anni, siamo passati dal grande risultato iniziale di quasi il 42% delle europee, a quello molto più amaro del 18% odierno, perdendo per strada quasi il 60% dei consensi.
Abbiamo trascorso questi anni raccontandoci che stavamo governando bene, che il paese stava risorgendo, che le persone iniziavano a stare meglio, sia dal punto di vista sociale che economico, che le aziende stavano ingranando un marcia in più, che la disoccupazione stava diminuendo, che il PIL stava aumentando, che sotto la nostra guida si erano portate in porto importanti conquiste sociali ………

Poi purtroppo il risultato delle politiche ci ha riportato impietosamente con i piedi per terra, consegnandoci un paese che non avremo mai voluto conoscere, in cui l’82% dei votanti, per protesta, perché non crede più in noi, perché non in linea con quanto politicamente fatto, o non interessato a quanto fatto, non ha votato PD, e tutto d’un tratto le nostre ferree certezze si sono così sgretolate.
Quindi, nonostante tutto ciò che il governo ha promosso, il percepito degli italiani sul nostro operato non è risultato positivo, e sentire oggi il tardivo il mea culpa per il risultato raggiunto, da parte di chi ha condotto, gestito e governato il partito negli ultimi 4 anni, e fino al 3 Marzo magnificava e sosteneva a spada tratta le scelte fin qui fatte, lascia quanto meno piuttosto perplessi.
Appare chiaro come alcune ripercussioni emozionali dell’elettorato, come rabbia e paura, abbiano condizionato il voto del 4 Marzo, portandolo verso quelle forze politiche che maggiormente, più o meno in buona fede, si sono sintonizzate con questa parte di elettorato, verso cui noi non siamo stati in grado di dialogare per sciogliere tali paure e rabbia.

E’ del resto del tutto evidente come la cultura dell’accoglienza, di fronte alla paura ed alla rabbia della gente, sia definitivamente entrata in crisi con le proposte del PD, ed abbia invece trovato fertile terreno con le rassicuranti promesse della Lega.
Tant’è che del tutto negative sono apparse le percezioni sul livello di sicurezza ambientale e sociale, fatto ricadere principalmente sulla evidente difficoltà dello stato nel contrastare concretamente l’immigrazione ed i reati ad essa connessi, rafforzate anche da un evidente impasse operativa, dovuta a leggi che prevedano certezze di pena per chi commette reati, unitamente alla difficoltà nell’eseguire i rimpatri e far rispettare i fogli di via.
E come dimenticare come dopo la grande enfasi della Riforma dell Provincie, proposta da Delrio, si sia finiti poi nel cul de sac di uno stallo operativo-gestionale della riforma stessa, che ancora oggi ci trasciniamo dietro, e che non ha di certo fatto sì che ai cittadini apparissimo, vista la confusionaria e complicata situazione in cui ci troviamo ancora oggi, dal lontano 2014, dei veri campioni in fatto di celerità e capacità organizzative.

Sul fronte del lavoro appare del tutto evidente come le proposte fatte, siano state percepite più come dei palliativi, che come organiche e strutturate, magari anche nel tempo e che potessero veramente cambiare lo status quo, tanto più che si è giunti al ritiro dello stesso jobs act, piuttosto che porvi mano, cercando di dare maggiori garanzie al mondo del lavoro, dal punto di vista salariale, temporale e sindacale.
Non va poi dimenticato il fatto che siamo stati proprio noi i promotori dell’abolizione dell’art. 18, e sempre noi i promotori della buona scuola …

Gli stessi 80 euro sono stati vissuti positivamente nell’immediato, segnando poi il passo in un secondo momento, quando ad essi non ha fatto seguito un serio programma di rilancio occupazionale sul territorio, ed in particolare per i giovani.
Stesso discorso per la gestione ed organizzazione del welfare e del servizio sanitario, il cui non proprio florido stato, eccezion fatta per alcune regioni fra cui proprio la nostra Emilia Romagna, viene riportato quasi quotidianamente dalla stampa nazionale, con casi che rasentano un’incredulità alla quale purtroppo ci stiamo adeguando.
Di contro va detto che abbiamo portato a casa grandi risultati di civiltà, il dopo di noi, il fine vita, la legge contro il caporalato, quella per le unioni civili …….. risultati dall’alta valenza sociale, ed in difesa di una parte di società che a noi ha sempre fatto riferimento, ma che, ed è evidente dai fatti e dai dati riscontrati, non hanno così positivamente sensibilizzato verso noi il resto della società.

Ci siamo chiusi dentro noi, più rivolti ad un compiacimento interno che all’ascolto, rispetto a come eravamo usi fare, delle esigenze, delle necessità e dei suggerimenti delle classi meno protette, con maggiori difficoltà e non solo di carattere economico, ma anche di rappresentatività e difesa dei risultati sociali faticosamente ottenuti.
Da questa distanza ci siamo più congratulati con noi stessi, che aperto occhi ed orecchie verso l’esterno, e siamo apparsi più come difensori di coloro che il benessere lo aveva già.
E così siamo stati sordi alle esortazioni di chi, come i flussi hanno dimostrato, è passato dal voto al PD al voto alla Lega o al M5S, ed allo stesso modo abbiamo perso il consenso dei tanti che, dopo un periodo di astensione, sono ritornati ad esprimere il proprio voto verso chi ha rappresentato le loro istanze, dopo aver chiesto, a lungo ed inutilmente al PD una forte, vera e sentita sterzata di rotta, ruolo e rappresentanza.

Possiamo ancora continuare a sostenere, arroccati sulle nostre convinzioni, le meraviglie degli atti e del lavoro del nostro governo, ma la verità è che il popolo, il nostro beneamato popolo, ci ha mandato a casa, ed al momento con il solo biglietto di andata.
Dimenticandoci del nostro elettorato, delle sue esigenze e delle tante battaglie fatte in passato insieme e per l’intera comunità, abbiamo abbandonato il territorio, le “nostre” periferie, dove da sempre si concentrano povertà, disagio e timori per il proprio futuro, e così anche una grossa fetta di nostri elettori, e quando lasci ampi spazi liberi vi è sempre qualcuno pronto ad occuparli, e questo qualcuno sono stati Lega, M5S e le destre.
A costoro abbiamo lasciato intere praterie ed interi ceti sociali, che non attendevano altro che qualcuno ritornasse a dar loro adeguata rappresentanza.

Tutto ciò deve per noi avere chiari e netti significati.
Il primo è che se vogliamo provare a guadagnarci anche il biglietto di ritorno, abbiamo bisogno di un concreto cambiamento, che dovrà necessariamente essere VERO, nella sostanza, nei fatti e soprattutto nell’intimo della futura classe dirigente !
Di fronte a questa Caporetto, chi fino ad oggi qui ci ha condotto e continua a credere nei valori e nei temi fondanti della sinistra, ed in particolare sente a pelle il vero significato della democrazia, senza fissarlo alla sola forza presunta dei numeri a disposizione, così come invece accaduto fino ad oggi, ma considera invece il proprio grip in base ai risultati raggiunti, non può che cedere il passo ed offrire ad altri la possibilità di rilanciare il partito, nuovamente e tutti insieme.

Naturalmente ciò che vale per il livello nazionale, non può non prendere in considerazione anche il locale.
Nel 2019 nel nostro territorio avremo ben 16 comuni che andranno alla tornata amministrativa e, visto il chiaro di luna delle recenti politiche e la ripercussione che avremo, vi è l’assoluta necessità di rivedere, analizzare, ritarare il nostro ruolo per arrivare a definire cosa fare da grandi, come farlo, ed in base alle politiche ed alle necessità che il territorio chiede, con chi farlo.
Non certo utilizzando alchimie mal composte, o ancor meno compagini male assortite, che non solo non durano nella sostanza dall’alba al tramonto, ma contribuiscono ancor più ad allontanare il nostro elettorato, così come accaduto il 4 Marzo nella nostra provincia.
Gli esempi, Rimini e Riccione in primis, si sprecano e nonostante ci sia ancora chi sostenga come le politiche siano una cosa e le amministrative un’altra, la freddezza dei numeri parla ben da sola e ci narra, ad esempio, dello scioglimento come neve al sole, della compagine di Patto Civico nelle due città, il che testimonia dell’assoluta mancanza di attrazione di realtà senza storia e tradizioni, ma occasionalmente nate sulla scia di interessi momentanei e per questo non certo radicati, così come i risultati testimonino.

Un misterioso connubio di capitò ed opportunità politiche che, dopo solo una timida apparizione, sono già finite nell’oblio della politica.
Del resto gli oltre 8.000 voti alle amministrative di Rimini, divenuti improvvisamente poco più di mille, così come allo stesso modo gli oltre 2.000 voti di Riccione ridotti ad un lumicino di poco superiore ai 110 voti, rappresentano come una momentanea opportunità, non sostenuta dalla concretezza e dovuta ad una sovrapposizione di fattori occasionali, sia stato solo il volo della classica rondine che non fa primavera.
Il voto del 4 Marzo ha evidenziato l’assoluta l’inconsistenza del progetto nato attorno al leader di quella civica che seppur fortemente sostenuto dal PD, è finita proprio come quel valzer. Appare infatti a tutti chiaro come quell’elettorato “civico” abbia bruscamente sterzato a destra, buttandosi in particolare proprio fra le braccia di Salvini.

E’ forse questa la consistenza, è forse lo 0,54% lo zoccolo duro, il nuovo verbo su cui costruire le fondamenta di un rinato PD e le future alleanze ?
Questo è stato il risultato di un’imposizione calata dall’alto dei colli romani sulla nostra periferia, come ci ha detto il segretario Giannini, o invece è stata la richiesta pervenuta direttamente dal nostro territorio, per non si sa bene quali prossime alchimie politiche ?
Ed il tutto senza dimenticare come nel contempo si tralasciava con supponenza e malcuranza il 3,4% nazionale di nostri ex compagni !

Questo è il modo certo e certificato per finire del tutto verso quell’oblio, dove sicuramente in tanti vorrebbe relegarci.
Lo abbiamo già qui affermato, la strada da imboccare, senza se e senza ma, è quella di riallacciare quel dialogo interrotto da troppo tempo e dai tanti personalismi, fra le nostre sinistre e con l’elettorato, sia quello così detto tradizionale ed a noi da sempre legato, sia con quella parte di elettorato che oggi, proprio per una diffusa e generale sensazione di instabilità, cerca chi possa, con correttezza, continuità e coerenza rappresentare le proprie istanze e necessità, sia esso fra gli elettori di centro che fra i grandi numeri del non voto.
Così facendo riusciremo a riacquistare nuovamente la fiducia di coloro che, per fare due esempi in Valconca e Valmarecchia, a Gemmano hanno portato la Lega al primo posto e noi al terzo dietro al M5S, ed a Verucchio ci hanno consegnato la medaglia di bronzo, dietro M5S e Lega.

Il percorso non sarà né facile né semplice ma, se ancora crediamo in noi stessi e nella forza vera della sinistra, e non vogliamo diventare solo un vivido ricordo da rammentare ai nostri nipoti, questo sarà un percorso assolutamente obbligato.

Giovanni Casadei, consigliere comunale PD Rimini

Voglio iniziare rispondendo all’appello dei giovani democratici a non litigare tra noi. È un appello che condivido pienamente, ma trovo necessario sottolineare che per non litigare, è indispensabile riconoscersi con pari dignità, e non perché lo dico io, ma perché è questa regola alla quale rispondono i rapporti umani quando sono liberi e sono tra pari. Per non litigare, è necessario ascoltarsi vicendevolmente e riconoscersi ruolo e autorevolezza.
NON SIAMO STATI CAPACI DI COMUNICARE, NON SIAMO STATI TRA LA GENTE, DOBBIAMO PRESIDIARE I SOCIAL
Dalla non vittoria di Bersani ad oggi, purtroppo ad ogni sconfitta elettorale, sono queste le giustificazioni più comuni, le frasi più diffuse tra i nostri militanti.
A queste , oggi, si sono aggiunte “non ci hanno capito” e “è il vento scuro dell’Europa”
Queste analisi sono tutte parzialmente vere, non si può negare, ma totalmente insufficienti a spiegare una débâcle come quella del 4 marzo scorso.
Se il vento Europeo, non fu sufficiente a frenare la spinta propulsiva del Pd Renziano alle scorse europee, non si capisce cosa possa averlo reso così definitivo oggi, così come dobbiamo farcene una ragione, se gli elettori non erano stupidi quando alle europee ci portarono al 40%, non possono esserlo neanche ora che ci consegnano al 18.7%.
Al netto delle ottime cose che abbiamo fatto e non sto ad elencare perché l’hanno già fatto altri prima di me, rimane il fatto che gli elettori che non ci hanno votato, semplicemente non hanno riconosciuto tra i risultati raggiunti dal governo dei benefici per le loro vite.
Lasciamo perdere i discorsi vagamente nostalgici che celebrano un passato felice, quando gli elettori votavano per i valori e non per i propri interessi, è una lettura parziale e ottimistica, quello che si può dire è che c’è stato un tempo nel quale era possibile garantire degli interessi , in uno spettro di valori, mentre oggi, la globalizzazione , la finanziarizzazione dell’economia, il debito pubblico, rendono questa possibilità molto difficile.
Lo spiega molto bene Marco Faraci su atlantico, in un bell’articolo postato da Samuele Zerbini, interessante anche se, dal mio punto di vista pervaso da un eccesso di cinismo e da una visone troppo mercatistica, troppo deterministica: esiste un rapporto diretto tra benessere e pace sociale, tra tolleranza, valori positivi, e prospettiva di crescita sociale ed economica.
Non capirlo e limitarsi al “ non ci hanno capiti” costituisce un gravissimo errore.

SOLI E SENZA ALLEATI:
Nella nostra attività di governo, abbiamo meritevolmente messo mano ad interventi di riforma attesi da decenni, ma il modo in cui siamo intervenuti, ci ha posto in posizione via via, sempre più solitaria e distante:
Con la BUONA SCUOLA , stanziando cifre mai viste in un settore allo stremo, e assumendo migliaia di precari, siamo riusciti a metterci contro tutto il mondo degli insegnanti e pure quello degli studenti. La scuola non è un ambiante qualsiasi, non solo rappresenta storicamente un nostro bacino elettorale, ma è anche il luogo principale nel quale i valori della repubblica, del vivere in società, del rispetto e della pacifica convivenza , trovano diffusione, è il luogo dove si formano i cittadini di domani, metterselo contro costituisce un grave difetto di miopia.
Il JOBS ACT: partendo dalla necessità di ampliare i diritti ai lavoratori non garantiti, abbiamo invece dato l’impressione di contrarli , di svalutare la dignità del lavoro e del lavoratore, e siamo riusciti a litigare con il mondo dei sindacati. La volontà di Renzi di procedere senza mediazione a colpi di “ Gufi “e “retrogradi” senza riconoscere, come si diceva in premessa, dignità agli interlocutori, ci ha messo contro tutto il mondo sindacale, ed in particolare quello della cgil , storicamente a noi vicino.
Gli interventi sulla Cultura, molti dei quali apprezzo, ci hanno messo in cattiva luce agli occhi delle soprintendenze, che non sono solo un ruolo istituzionale, ma sono migliaia di persone impegnate a proteggere il nostro patrimonio culturale, sono lavoratori dei musei, archivisti, ricercatori, che si sono trovati una riforma calata dall’alto che non risponde alle esigenze che sentono prioritarie.
Sono solo alcuni esempi per descrivere una realtà che è sembrata priva di direzione. Non ho nessuna intenzione di difendere privilegi e privilegiati, ruoli o rendite di posizione, ma un partito il tema di quale sia il proprio mondo di riferimento, da che parte stare, con chi stare, con chi fare le cose, chi sono i propri elettori, se lo deve porre, se si finisce a litigare con tutti, poi i voti semplicemente non si raccolgono.
Partendo sicuramente dalla volontà di fare cose buone, siamo finiti con l’alienarci una percentuale imbarazzante del nostro consenso. Non è che non ci hanno capito, ci hanno capito e ci hanno evitato, purtroppo.

LA LEADERSHIP FORTE.
Non credo si possa essere aprioristicamente contrari ad una leadership forte, se la intendiamo come una persona capace di fare sintesi e prendere posizione sulle questioni importanti, ma una vera leadership, per essere forte, deve avere dietro di se un lavoro collegiale, altrimenti la pretesa di dare una risposta a quella società liquida o gassosa, che abbiamo così ben descritto nelle nostre analisi, diventa una pia illusione, perché una persona sola non può interpretarla, e non può interpretarla, perché non la conosce, non la può conoscere.
Un vero leader ha bisogno del supporto di una struttura ampia, che lo aiuti a conoscere ed interpretare, e a relazionarsi con la società contemporanea, polverizzata e mutevole.

IL RIFORMISMO DALL’ALTO E I CORPI INTERMEDI
Legato a doppio filo ai temi precedenti, voglio evidenziare la conseguenza che è anche causa della distanza dagli elettori che siamo riusciti a creare.
I corpi intermedi sono in crisi di rappresentanza? Si , è evidente a tutti i livelli, ma la politica, è semplice spettatrice di questo fenomeno, o ha anche un ruolo ? se a fronte della crisi di rappresentanza, si sceglie la strada del solista che si pone davanti alla moltitudine con l’ambizione di essere unico referente e unico interprete, la rappresentanza, la si fortifica o la si affossa?
E chiaro che in emergenza si può usare la strada della relazione diretta, ma contemporaneamente occorre mettere in campo altre strategie.
Partendo dai migliori propositi, il riformismo che non coinvolge chi ne beneficia, ne abbiamo una prova evidente, non ha nessuna opportunità di esito positivo. Viviamo una società divisa in esclusi e inclusi, dove la crisi dei corpi intermedi ci consegna una realtà di difficile interpretazione, o si fanno interventi per ridare ai corpi intermedi forza e peso, o si coinvolgono direttamente i cittadini in percorsi partecipativi decisionali, o, meglio ancora, si fanno entrambe le cose; solo così ci si garantisce la possibilità di non vedere rigettati gli interventi di riforma.
Lo ripeto, occorre immaginare processi che ridiano forza da un lato a forme nuove di intermediazione, dall’altro coinvolgere le persone in percorsi partecipativi decisionali diretti.

IL POPULISMO
Non chiamiamolo populismo!! Abbiamo fatto una campagna elettorale denigratoria di Gigino e di Salvini, li abbiamo liquidati con questo termine cumulativo, e il 70% degli elettori li ha premiati.
Per molti elettori, quella del movimento 5 stelle e incredibile ma vero, anche della lega, è stata una scelta di SPERANZA.
Abbiamo raccontato un mondo in rapida evoluzione, in radicale cambiamento, nel quale l’innovazione tecnologica sovvertirà le regole del lavoro, nel quale la finanziarizzazione dell’economia, già le ha rovesciate, un mondo globale, di poteri distanti, una analisi perfetta, che non siamo capaci di accompagnare da una prospettiva, da un meta comune, capace di coinvolgere e rassicurare chi si sente escluso e senza speranza.
Non abbiamo riflettuto adeguatamente su come aiutare chi si sente travolto dal mondo che cambia, e loro hanno scelto un voto di speranza, una scelta che temo si rivelerà fallimentare, ma noi, se da questa sconfitta vogliamo imparare qualcosa, una riflessione seria sulla necessità di offrire speranza, dobbiamo farla.

IL CIVISMO
Era nel dna del partito democratico, sin dal primo embrione, la volontà di aprirsi al civismo, alla società civile, ma questa ambizione non può risolversi al coinvolgimento elettorale di liste e persone, non mi pare lungimirante, la società civile, deve permeare il partito sempre, il civismo va coinvolto NEL NOSTRO PARTITO.
Ovvio e scontato che in occasioni elettorali, si creino alleanze si affianchino liste, è sempre più necessario visto lo scenario multipolare, ma le persone vanno coinvolte nel partito molto prima delle elezioni, è questo coinvolgimento che può offrirci la possibilità di avere contatto diretto con la complessità della realtà contemporanea, dalla quale altrimenti rischiamo di distaccarci senza ritorno.