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La storia di Guido Cohen e degli ebrei di Rimini

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 30 gen 2018 17:43 ~ ultimo agg. 17:44
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A 80 anni delle leggi razziali, la drammatica storia di Guido Cohen, commerciante ebreo di Viserba, catturato durante il regime fascista. L’intervento di Laura Fontana, responsabile del progetto Memoria del Comune di Rimini

 

“Si chiamava Guido Cohen, insieme alla moglie aveva una merceria che si affacciava sulla piazza di Viserba. Lui, genovese, trasferito a Rimini con la moglie. Ma soprattutto ebreo, quando essere ebreo era una colpa e in molti casi una condanna certa. Da qui la cattura, la deportazione, la fuga, fino al ritorno a casa, a Rimini, dove morì nel 1969. E’ solo una delle tante storie di riminesi, d’adozione e non, che hanno pagato sulla loro pelle le conseguenze delle leggi razziali, di cui quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della promulgazione da parte del governo fascista e che segnarono l’inizio della tragedia degli ebrei residenti in Italia.

Quella di Cohen è una delle storie raccontata nel volume Spiagge di lusso – Antisemitismo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese (ed. Panozzo) curato da Antonio Mazzoni e Lidia Maggioli, che ripercorre minuziosamente alcune delle storie di famiglie (circa una trentina in tutto quelle censite) che hanno subito ripercussioni, vessazioni in conseguenza alle leggi razziali. La storia di Cohen, che lui stesso raccontò una volta tornato a Rimini ai suoi clienti e conoscenti che ne hanno poi tramandata la vicenda, come quella di molte altre è fatta di casualità, coincidenze, secondi che possano determinare la vita o la morte. Arrivato da Genova, apre una bottega di merceria a  Viserba, in piazza Pascoli, insieme alla moglie Lina, “ariana”. La sua origine ebraica però non gli dà scampo: nel 1938 viene schedato come ebreo, nel 1939 lui stesso presenta autodenuncia di appartenenza alla razza ebraica. Viene arrestato nel luglio del 1944, condotto a Verona per essere deportato ad Auschwitz. Nel frattempo gli viene confiscata la sua abitazione, in via Santa Maria del Mare. Per quanto è stato possibile ricostruire, pare che il commerciante sia riuscito a fuggire durante il trasferimento verso nord, rifugiandosi in una clinica della zona di Varese per una decina di mesi. Tornò poi a Rimini, una Rimini distrutta ma libera, riprendendo in mano la merceria a Viserba e dove rimase fino alla sua morte, che avvenne in una casa di cura nel 1969.

Una famiglia indelebilmente segnata dalla guerra e dalla follia delle leggi razziali, come lo furono tanti uomini, donne, bambini, alcuni dei quali magari vicini di casa dei nostri genitori, dei nonni, dei nostri avi. La memoria deve passare anche dalla narrazione delle testimonianze, dagli episodi reali, per far sì che il passare degli anni non cancelli il dolore e le ferite della guerra, trasformandole solo in fredda materia per i libri di storia”.