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Emilia Romagna, cinque cose che ancora (forse) non sapete

Emilia Romagna, cinque cose che ancora (forse) non sapete

Emilia Romagna

Gli umarell di Bologna? Taldeg! E poi lo Scaramaz della Riviera, lo Sburoun di Bertinoro e lo Speedriul di Riccione. Cinque buoni motivi per cui credo che l’Emilia Romagna sia un posto speciale

Ognuno ama la propria terra d’origine, ma ci sono almeno cento motivi per essere orgogliosa d’essere nata in Emilia Romagna. Innanzitutto, ci sono le grandi ragioni. Una per tutte?  La mia terra la chiamano la FoodValley, perchè ha il più alto numero in Europa di prodotti DOP e IGP. In parole povere qui si mangia divinamente! Noi local, magari non ci facciamo tanto caso. Qui si cresce a pasta fatta in casa, Prosciutto di Parma, pesce fresco e piadina, ma in giro per il mondo è un’ottima ragione per essere amati e invidiati. E’ il primo dei motivi per cui questo posto lo conoscono tutti! Persino ai confini del Polo Nord e sull’Isola di Bali, mi è bastato dire “vengo dalla patria del Parmigiano Reggiano e dell’Aceto Balsamico” per farmi capire al volo sulla mia provenienza. E poi i motori, il wellness lifestyle, la moda, l’arte e i patrimoni Unesco e la cultura. Ma non intendo parlarvi di tutto questo, ora. Ci sono cinque storie dell’Emilia Romagna che, forse, non conoscete e che io trovo molto intriganti nella loro piccola grande semplicità. Ve le voglio raccontare. Sono storie contemporanee, ma hanno una cosa in comune: il caro buon vecchio dialetto.

Si chiamano Silvia, Alice e Francesca. In realtà sono tre giuriste, di recente, però, hanno fondato una start up turistica. Il loro progetto di business, in realtà, ha a che fare con il cuore. “Siamo innamorate di Bologna!”, è la prima cosa che mi dicono. E’ proprio da questa premessa che nasce la loro idea alternativa di permanenza in città. Da una parte ci sono i viaggiatori, dall’altra ci sono i Bolognesi e loro in mezzo, a fare da trait d’union. In pratica Silvia, Alice e Francesca cercano innanzitutto appartamenti e  li inseriscono nel circuito degli affitti temporanei (il modello è quello di Airbnb). Poi per arredarli e valorizzarli selezionano piccoli artigiani e artisti emergenti , trasformando così gli ambienti i in spazi espostivi permanenti. Come se non bastasse, recuperano inoltre pezzi d’arredo da vecchie abitazioni che hanno dentro la storia della città. In pratica il viaggio inizia in casa. E qui arriva il bello.

Al suo arrivo l’ospite trova infatti tutte le informazioni utili per andare a conoscere più d vicino Bologna e i Bolognesi. Dove vanno a mangiare ? Cosa fanno la sera? E chi ha realizzato le fotografie che sono appese alle pareti dell’appartamento? E quel pezzo d’arredo, chi l’ha fatto? Le tre ragazze sono pronte a rispondere. Ecco perchè, dopo averci pensato a lungo, hanno deciso di chiamare la start up che hanno fondato proprio Taldèg ( (in bolognese, “te lo dico”). Hanno scelto, cioè, l’intercalare più tipico per eccellenza, ripescando dal dialetto locale originale il must delle chiacchiere “da bar”. “Non importa se gli stranieri inizialmente non lo capiranno, noi glielo spiegheremo e sarà un valore aggiunto che renderà la loro esperienza davvero unica ed ancor più indimenticabile”.

Gli appartamenti del circuito Taldèg vengono arredati anche con pezzi recuperati dalle case storiche della città

In Emilia Romagna, le piccole cose diventano grandi. Pensiamo agli Umarell,  tipici “esemplari” di Bologna arrivati ben più lontano. Inizialmente a scherzare sugli Umarell hanno iniziato i comici emiliano-romagnoli (da Giacobazzi a Duilio Pizzocchi). Poi un antropologo urbano ha studiato il fenomeno e lo ha messo nero su bianco in un libro, diventato un best seller, ma questo qualche anno fa. Poi a sorpresa, nemmeno un mese fa, gli Umarell sono diventati un vero e proprio fenomeno di costume con la complicità dei social, la viralità che  ha fatto la sua parte (e ha funzionato ai massimi livelli) e infine “la benedizione” dei grandi media.

Umarell da scrivania – The Fab Lab

Da semplici bolognesi in pensione, insomma, gli Umarell sono diventati un cult: hanno ispirato un oggetto di design 3D, e non un oggetto qualunque, bensì “il regalo di Natale definitivo” come spiega uno dei fondatori dello studio di progettazione che li realizza, The Fab Lab. Tutti pazzi per l’omino rosso da tenere sulla scrivania a controllare la produttività, in due settimane oltre 4mila gli ordini. Già oggi non è più possibile ricevere un Umarell entro il 24 Dicembre, però, come rassicurano dal laboratorio di fabbricazione digitale, si può acquistare una gift card sul sito e aspettare che il tempo passi. Un pò come fanno gli Umarell, quelli veri.

Ora vi parlo di Fabrizio Crescentini. E’ un artigiano di Rimini, un posto dove di confusione ce n’è tanta da sempre, tra locali, street bar e dj set della Riviera. Da piccolo, però, è cresciuto nella bottega del padre, un ceramista, e non se n’è dimenticato. Il ritmo della sua terra e l’eredità di famiglia, ora, li ha messi dentro allo Scaramaz (appunto, “confusione”), l’amplificatore universale per smartphone che ha creato con le sue mani. La forma ricorda quella di un vecchio grammofono e l’idea è arrivata da un suo disegno, che poi è diventato una bozza d’argilla e, infine, un prototipo in gesso. Ogni Scaramaz è fatto a mano ed è fatto a Rimini, ma grazie alla memoria e alle influenze della sua terra Fabrizio è stato capace di trasformare un oggetto d’uso quotidiano in qualcosa di unico, inconfondibile e autentico.

Tutti conoscono il Sangiovese, ma per farsi notare la Cantina Braschi (sulle colline di Cesena) si è ispirata allo Sburoun. Per chi non conosce il dialetto locale, lo sburone (letteralmente ‘borioso’) è un tipo pieno di sè, che di certo non passa inosservato. “In Emilia-Romagna la produzione del vino è un’arte centenaria che richiede amore e dedizione” si legge sul sito di Cantina Braschi, in realtà nelle bottiglie etichettate Sburoun c’è molto di più. C’è la cultura della Romagna, c’è la memoria sua storia e c’è l’orgoglio dell’appartenenza. Di Sangiovese in una vita trascorsa in Romagna ne ho bevuto più di un paio di bicchieri, ma questo, con un nome così, sarà difficile da dimenticare.

Speedriul: Aquafan parla la sua lingua e la rende universale

E per finire una storia che nasce a Riccione, la mia città, dove c’è Aquafan. Superfluo parlare di questo famoso parco acquatico, ma sempre a proposito di belle storie che forse ancora non sapete, c’è n’è una che vi voglio raccontare. Più o meno dieci anni fa andai alla conferenza di stampa di presentazione della nuova attrazione del parco, uno scivolo velocissimo a forma d’imbuto. Non so dirvi a quante conferenze stampa ho partecipato negli ultimi dieci anni, di certo non poche visto che il giornalismo è il mio pane quotidiano, ma quella me la ricordo ancora. Perchè tra le varie informazioni che diedero, una è indimenticabile.

Raccontarono l’episodio sul “battesimo” di quello strano scivolo. Dissero più o meno cosi “Quando venne montato ci stavamo chiedendo come chiamarlo e un bagnino del parco, sentendoci, commentò quel l’è e pidriul, cioè tradotto dal riccionese, “quello è l’imbuto”. Nacque così quel nome cosi unico, originale e inconfondibile, un neologismo tutto romagnolo contaminato dall’inglese, che fa più figo (concedetemi l’espressione) e sa di contemporaneo. E una cosa è certa: di Speedriul non ce n’è altri al mondo.

Cara Emilia Romagna, come te non c’è proprio nessuno!

L’idea di questo insolito racconto, lo avrete capito, “nasce dal basso” e c’è un motivo preciso. A pensarci bene, la prima grandezza vera dell’Emilia Romagna credo sia la sua capacità di fare le cose in un altro modo, il suo. E mi spiego meglio. E’ vero, è una terra amata e popolare, e lo sa, ma non si è ancora “montata la testa”. Prima degli imprenditori qui c’erano i pescatori e contadini, gente semplice e sincera e, forse, sta proprio nella sua capacità di non rinnegarlo mai il suo più grande tesoro. La sua autenticità d’animo l’Emilia Romagna non l’ha ancora perduta, ecco perché amo la mia terra in questo mondo tutto così uguale.

Da www.mytrolleyblog.com