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Riccione Rimini Social

Daspo contro i barboni

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
ven 15 dic 2017 09:50
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Al giornale sanno bene che fra le forme di solidarietà, l’elemosina per strada non è davvero la mia preferita. Anzi quando nel centro città di Rimini una decina di ragazzoni africani chiedono elemosina, mi fermo a discutere con loro e spiego che comportandosi così fanno un favore a chi li vuole cacciare. Davvero sull’elemosina non sono un “buonista”, ma so distinguere. Poi francamente vedere gente che chiede elemosina mi aiuta comunque a riflettere sui problemi di tante persone e sulle scelte che compio ogni giorno.
Un tempo la questua era un reato, non lo è più dal 1995. La richiesta dell’elemosina è lecita purché sia una domanda di umana solidarietà, non un comportamento insistente e minaccioso. Le leggi sono chiare e basta metterle in pratica. Ora è lecito chiedersi che cosa abbia maturato nel Comune di Riccione l’ordinanza del 21/11/2017 che vieta dal 1 dicembre al 31 gennaio in tutto il territorio comunale “qualsiasi forma di accattonaggio”. L’ordinanza fa il paio con quella in vigore già dal luglio scorso (un premio alla Lega Nord), ma questa – cadendo nel tempo natalizio, un tempo tradizionalmente di maggiore attenzione alle forme di povertà e bisogno – non poteva non creare stupore e imbarazzo.
Il titolo: “Ordinanza in materia di decoro e sicurezza urbana…”. Il termine “sicurezza urbana” è legato alle forme di accattonaggio “con modalità minacciose, ostinate, insistenti…”. Già la Legge italiana e tutti i Regolamenti di Polizia Urbana, compreso quello di Riccione, lo prevedono. Cetamente al primo posto va la sicurezza della gente e la lotta ad ogni violenza e sfruttamento. Ma il riferimento al “decoro urbano” è invece legato anche alla “mendicità non molesta”, che pure viene esclusa quando “reca intralcio alla regolare fruizione e al decoro di spazi pubblici, con particolare attenzione alla zona turistica”. C’è da chiedersi come sia possibile che un’ordinanza metta in secondo piano la dignità della persona e il suo diritto ai beni primari ed essenziali rispetto al concetto di “decoro urbano”. Come si può soltanto pensare di usare simili termini equiparandoli?
Ma poi, politicamente, è sufficiente nascondere alla vista e allontanare fisicamente la povertà e il degrado della vita di persone che abitano la nostra città per sentirsi a posto come buoni amministratori della cosa pubblica? La persona è sempre portatrice di diritti e dignità o dipende dal suo livello di integrazione con il “decoro urbano”? È questo amministrare una città o invece l’impegno di rendere un po’ migliore la vita di tutti i membri della comunità?

Giovanni Tonelli