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Attualità Provincia

Reddito di Solidarietà: quasi 600 domande dal riminese

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mer 20 dic 2017 13:53 ~ ultimo agg. 14:26
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In due mesi sono state 6 mila le richieste arrivate in Regione per accedere al Reddito di solidarietà e 1.692 quelle già accolte. Altre 225 sono state ritenute idonee al Sostegno all’inclusione attiva. Dalla provincia di Rimini sono un totale di 144.903 famiglie residenti sono arrivate complessivamente 591 domande ai servizi sociali (465 dal distretto Rimini e 126 da quello Riccione). Numeri più alti solo per Bologna (1556) e Modena (912).

Il Res è una misura voluta dalla Regione e varata con l’approvazione della legge regionale sulle “Misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito” (da un minimo di 80 euro fino a un massimo di 400 euro al mese per i nuclei familiari composti da 5 o più membri, con un Isee inferiore ai 3 mila euro e la residenza in regione da almeno 24 mesi).

I richiedenti si dividono pressoché alla pari fra uomini (50,6%) e donne (49,4%), persone con più di 45 anni (65,7%) e nella gran parte dei casi (69%) senza minori a carico.

Nella seduta di giovedì in Assemblea legislativa sull’esame del Bilancio 2018, la Giunta proporrà di estendere i 35 milioni l’anno per il finanziamento del Res anche al 2020.

Le caratteristiche dei nuclei familiari ammessi

Circa la metà dei nuclei familiari finora ammessi al Reddito di solidarietà è composta da una sola persona e oltre i due terzi (69%) non ha minori a carico. Il 14,2% ha un minore, l’11,9% due, e solo l’1,1% ha più di quattro figli. Per quanto riguarda l’età, un terzo delle famiglie ha un richiedente con almeno 56 anni e circa il 60% con più di 45 anni. Sono le donne a chiedere più frequentemente (68,4%) i contributi previsti dalla misura nazionale (Sia) riservata a nuclei con minori, mentre per il Res le domande vengono presentate da uomini (50,6%) e donne (49,4%) in percentuali simili. Infine, a beneficiare di entrambi i contributi sono famiglie in cui almeno un componente lavora (61,5%), anche se in modo precario o poco pagato. Il Res sembra quindi in grado di raggiungere anche molti ‘working poor’, cioè persone povere malgrado vivano in famiglie in cui sono presenti redditi da lavoro.

La povertà in Emilia-Romagna

Al di sotto della media nazionale, anche per la tenuta complessiva e la ripresa produttiva e occupazionale degli ultimi anni, in Emilia-Romagna il tasso di povertà relativa è comunque passato negli anni della crisi economica dal 2,2% del 2009 al 4,5% del 2016. Secondo i calcoli del Servizio statistico della Regione, si tratta di circa 200mila persone che hanno difficoltà a procurarsi beni e servizi. Sono invece 65mila le famiglie (3,3% in Emilia-Romagna, 6% in Italia) al di sotto della soglia di povertà assoluta, ovvero che non hanno reddito sufficiente a soddisfare i bisogni essenziali: per lo più persone sotto i 35 anni o tra i 35 e i 49 anni con minori a carico.
A questo si somma il dato dell’emarginazione adulta che, secondo le stime dell’Istat rielaborate dall’Università di Modena e Reggio Emilia, riguarda oltre 4.000 senza fissa dimora.

Le dichiarazioni

Si tratta di una misura di civiltà, che va dritta al cuore di chi ha bisogno– sottolinea il presidente della Regione, Stefano Bonaccini. In questi anni abbiamo lavorato per non lasciare indietro nessuno, per coniugare la crescita con la coesione sociale. Oggi che il Reddito di solidarietà è realtà, non solo abbiamo accompagnato e in gran parte anticipato l’impegno del Governo sulla lotta alle diseguaglianze, ma siamo di fronte a un fatto decisivo e cruciale per quei nuclei familiari, e pensiamo di raggiungerne circa 30 mila nel giro di un anno, che nella nostra regione vivono la quotidianità alle prese con difficoltà che dobbiamo fare di tutto per alleviare. Questo strumento vuole dare una risposta concreta a chi si trova davvero in situazioni di disagio, favorendone al contempo l’inserimento lavorativo. Il Res, infatti, va oltre il contributo economico, pur importante, perché impegna chi lo riceve a stringere con noi un ‘patto’ per ritrovare l’autonomia e reinserirsi nella società. Non siamo di fronte all’elargizione di un mero contributo economico– chiude il presidente della Regione- ma a una opportunità che va data a chi ha bisogno, al tentativo vero di non lasciare indietro nessuno”.

Dopo l’enorme lavoro messo in campo da parte di tutti – operatori dei Comuni e della Regione – finalmente è partito il nuovo pilastro del welfare regionale e cioè i servizi e gli aiuti contro le diseguaglianze e la povertà assoluta– spiega la vicepresidente e assessore al Welfare, Elisabetta Gualmini. Un cambiamento radicale del modo di lavorare e di affrontare i bisogni dei cittadini che sta dando i suoi frutti; le domande continuano ad essere moltissime e stiamo facendo di tutto per dare risposte a tutti in tempi ragionevoli. È una direzione nuova e inesplorata che diventerà un tratto distintivo della storia della nostra regione per i prossimi anni”.