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Rimini Vita della Chiesa

Le quattro vie della gioia. L'omelia del vescovo per la festa del Beato Marvelli

In foto: la celebrazione a Sant'Agostino (Newsrimini.it)
la celebrazione a Sant'Agostino (Newsrimini.it)
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 6 ott 2017 15:21 ~ ultimo agg. 15:23
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Ieri il Vescovo di Rimini monsignor Francesco lambiasi ha presieduto alla chiesa di Sant’Agostino la S. Messa in occasione della Festa liturgica del Beato Alberto Marvelli. Nella sua omelia ha indicato le quattro vie della gioia indicate da Alberto Marvelli.


L’omelia del vescovo Lambiasi:

La sorpresa della gioia

Dal vangelo secondo Alberto

Omelia nella festa del beato Alberto Marvelli

  • Rimini, chiesa di s. Agostino, 5 ottobre 2017 –

Si può essere felici senza Dio? Si può essere felici con Dio? Quasi in risposta alla prima domanda, qualche anno fa un’associazione di atei inglesi promosse una campagna pubblicitaria con questo slogan apparso su metro, bus, magliette e t-shirt: “Probabilmente Dio non c’è. Rilassati e goditi la vita”. Scattò immediata la reazione di una campagna contrapposta, condensata in questa scritta: “Certamente Dio c’è. Ma non sei tu. Rilassati e vivi la vita”. Mi chiedo: come avrebbe risposto alle due domande iniziali il nostro Alberto Marvelli? Forse semplicemente così: “Sono Alberto e so una cosa. Dio mi ama e sono felice”. In effetti Alberto è due volte felice, letteralmente ‘beato’: perché ha vissuto in soli 28 anni una vita dalla “misura piena, pigiata, scossa e traboccante” (Lc 6,38). E perché è stato proclamato beato, vale a dire felice, da san Giovanni Paolo II, in quanto abitante in perpetuo della terra dove “non c’è più la morte, né lutto né dolore né pianto” (Ap 21,4), ed è ormai registrato nell’anagrafe della città santa, che “solo amore e luce ha per confine” (Dante).

1. Ma quali sono state le vie della gioia che Alberto Marvelli ha percorso e che perciò può autorevolmente segnalare anche a noi? Penso a queste quattro.

La prima è la via della fede. Credere non è tanto ingoiare una lista di verità, un mandare giù un arido elenco di implacabili precetti e di insopportabili divieti. Credere è incontrare Gesù Cristo. Forse qualcuno di noi si potrebbe ritrovare in questa frase. “Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato il mio io e non mi sono trovato. Ho cercato il mio fratello e non l’ho trovato. Ho incontrato Cristo e ho trovato tutt’e tre”. Alberto ha incontrato Gesù fin da piccolo. Ma la sua vera conversione avviene attorno ai quindici anni, quando aderisce con personale e consapevole adesione alla fede cristiana. E intreccia un rapporto nuovo con il Signore, vissuto come relazione totalizzante che andrà crescendo in progressione esponenziale, fino a fargli dire: “Io voglio essere tutto di Gesù, tutto suo”. In effetti Gesù è il volto umano di Dio. Ecco la prima frase che compare sul suo diario, a 15 anni: “Dio è grande, infinitamente grande, infinitamente buono”. Ma Gesù è anche il volto divino dell’uomo. In lui puoi ritrovare ogni fratello, ogni sorella e anche te stesso. L’incontro con lui non censura i tuoi sogni più veri, non restringe gli orizzonti più vasti, ma li dilata all’infinito. “Cristo non toglie nulla e dà tutto” (Benedetto XVI). Nel Diario Alberto ha lasciato scritto: “Credo a Cristo perché Cristo è la mia vita”. Questa è gioia e qui è perfetta letizia: vivere nella certezza beatificante di essere non orfani, ma figli teneramente e tenacemente amati da Dio Padre. E’ vivere nella lode a Dio Padre senza ambire la lode del mondo.

2. La seconda via della gioia è la via dellapace. All’indomani della seconda guerra mondiale, Alberto scriveva: “L’uomo ha perso il senso della propria dignità, dimentica il valore della vita. Troppe violenze, conseguenza della guerra. Esempi dei campi di concentramento tedeschi, esempi nella vita pratica di ogni giorno: assassini, furti, violenze, immoralità dilagante e imperante. Non è con la spada che si risolvono le questioni, né con la violenza”. Ma sapeva bene che per vincere fuori di sé il male con il bene, bisogna sconfiggere la violenza dentro di sé. Nel Diario annotava: “Devo assolutamente vincere i miei scatti di impazienza, e usare invece con tutti una pazienza amorevole e una carità ardente. Devo assolutamente perdere il vizio di giudicare il prossimo”. Qui è gioia e perfetta letizia: la gioia della fraternità, che promuove i talenti dei fratelli e delle sorelle. E’ la gioia di quanti stimano gli altri superiori a se stessi. E trovano più gioia nel dare che nel ricevere, nel servire più che nel farsi servire.

3. La terza via della gioia, secondo Alberto, è la via della croce. Ecco ad esempio quanto scriveva ad un amico, per la scomparsa della mamma: “Abbi fede, Vittorio, il Signore manda le prove e visita col dolore chi più ama. Solo attraverso la sofferenza, possiamo giungere alla vera vita”. Ma per Alberto la croce non era semplicemente un passivo rassegnarsi ad eventi ineluttabili. Era piuttosto un fare il Cireneo, facendosi carico della croce dei fratelli. Per lui fare la comunione con Cristo nell’eucaristia era necessariamente un entrare in comunione con i poveri, visti come altri poveri crocifissi. Ecco, perché non poteva stare neanche un giorno senza fare la comunione e senza compiere almeno un gesto di solidarietà verso un povero. Questo per lui non era un dovere, ma un bisogno, anzi una impellente necessità. Per Alberto il vivere per i poveri era un vivere da povero. Questa è gioia e qui è perfetta letizia: sapere che la vita non è fatta per la morte, ma che la morte è fatta per la vita. E’ credere che non si vive per soffrire, ma che non si può non soffrire se si vive per fare felici gli altri.

4. La quarta e ultima via è la via del servizio. E il servizio Marvelli lo intendeva così: “Mettere tutta la propria vita, la propria gioventù, i propri beni a servizio degli altri: questa è la prova più bella di amore… Io credo che una vita spesa solo per se stessi non abbia alcun senso”. Di qui discendeva l’impegno politico, che assunse direttamente nel settembre del ’44, quando si doveva cominciare a pensare alla ricostruzione dell’Italia e di Rimini dalle macerie materiali e morali. La fame di giustizia evangelica – che è fame di santità – lo spingeva a farsi carico della fame di pane, di dignità, di libertà della città e della patria. E faceva politica, ma non faceva il politicante. Il servizio politico era servizio, non era carriera. In effetti chi vive a braccia aperte, di solito, non fa carriera, ma trova tanta gente da abbracciare. Questa è gioia e qui è perfetta letizia: è la gioia di chi sente di avere una missione da compiere nella vita, un compito che la colma di senso. E’ la gioia che viene dal constatare la crescita altrui, grazie al proprio sacrificio. E’ la gioia, austera ma mai rattristata dall’invidia, di vivere tutta la propria vita orientata al bene degli altri.

+ Francesco Lambiasi