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Casa per noi: dove diventare indipendenti

di Stefano Rossini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 16 giu 2017 07:34 ~ ultimo agg. 28 giu 15:37
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“Da quando sono diventato maggiorenne ho sempre voluto fare un’esperienza del genere, andare a vivere con gli amici”.
A parlare è Marco, ospite di Casa per noi, un progetto che, insieme a Vita indipendente, permette a persone con bisogni speciali di vivere esperienze protette di autonomia abitativa. Vengono chiamati ragazzi speciali, o ragazzi con bisogni speciali o con altre parole che indicano, in modo più delicato rispetto al passato, una differenza dalla normalità a cui facciamo troppo spesso riferimento.

Ma il loro bisogno principale, come per tutti noi, è quello di potersi costruire una vita indipendente, appunto, un’esistenza che possa renderli felici, fargli fare quello che preferiscono. «Casa per noi» e «Vita indipendente» sono progetti promossi dalla associazione onlus Crescere Insieme, che si avvale dei servizi educativi della Cooperativa Sociale Il Millepiedi, in rete con i servizi sociali.

 

“Quando arrivo a casa non svuoto mai la valigia, almeno so che maglia prendermi dal bagaglio. – racconta Marco – Però sono contento perché questa è un’esperienza che già pensavo di fare, e quest’anno quando mi hanno proposto il progetto ho accettato”.
Marco sorride quando parla della sua pigrizia nel disfare la valigia, e va con lo sguardo a Giada Murgia, educatrice della Cooperativa Il Millepiedi.

“Quando sono qui prendo spunto da Emanuele, che è qui da prima di noi e ha più esperienza. Lo faccio perché questa cosa mi piace e in futuro vorrei andare a vivere da solo”.
Emanuele è uno dei coinquilini di Marco, l’altro è Alberto. Assieme formano un gruppo. Il progetto è strutturato in fasi. Si comincia per piccoli periodi, fino a momenti di due settimane consecutive, a seconda dell’autonomia dei ragazzi.

 

Quando sono a «Casa per noi» mi sento felice di essere libero, adulto, di stare con i miei amici, mentre quando sono a casa mi sento più solo e schiavo dell’informatica. – continua Marco, che è già al secondo anno di questa esperienza, e ha imparato tanto – Durante la giornata ci dividiamo in turni. La mattina io vado al lavoro, poi cuciniamo per pranzo, facciamo le pulizie e il pomeriggio stiamo assieme o facciamo la spesa. A pranzo e cena ci sono gli educatori con noi, gli altri momenti li passiamo da soli”.

Marco è felice, come mamma Silvia. “Nonostante le paure, e le difficoltà ora è autonomo – dice – ed è sempre più sereno quando deve tornare a vivere da solo con i suoi amici. Aspetta che arrivi il momento di andare, parte tranquillo e torna sereno. Lo vedo molto più autonomo. Va anche da solo in bici. Io ho caldeggiato la sua partecipazione sin dall’inizio, e sono contenta che lui possa vivere questa esperienza”.
“Non è facile – interviene Marco – ma è bello crescere, anche se non sempre diamo retta agli educatori”.
Educatori che hanno un ruolo non solo professionale.
“Vivendo con loro i momenti di quotidianità e convivialità – dice Giada – si crea un legame fraterno, molto profondo. Marco ad esempio mi chiama mamma, dice che sono tirannica. In realtà il nostro compito è quello di accompagnare questi ragazzi e insegnargli a fare delle cose senza sostituirci a loro. Noi abbiamo il tempo necessario, mentre spesso all’interno della famiglia può essere difficile adattarsi ai tempi un po’ più calmi e lenti dei nostri ragazzi”.

 

Diversità, occorre superare i preconcetti

Nel percorso di autonomia dei ragazzi un ruolo fondamentale lo ricoprono anche gli psicologici.

“Noi cerchiamo di collocare questo percorso nella normalità del ciclo vitale delle famiglie dove è normale che ci siano delle fasi come lo svincolo. – dice William Zavoli, psicologo e psicoterapeuta della Cooperativa il Millepiedi che accompagna sia gli educatori sia le famiglie – Noi abbiamo parlato di questo con i genitori: svincolo e indipendenza. È difficile l’indipendenza, dipende dalla misura in cui tutto il sistema è preparato e riflette su queste cose.

Noi come cooperativa gestiamo questi gruppi e questi appartamenti e ci rendiamo conto che, dove non c’è la famiglia dietro è più difficile. Per essere indipendenti è necessario fare anche questi ragionamenti insieme alla famiglia, con genitori, ragazzi, operatori e anche la possibilità di tornare sui propri passi”.

A questi risultati, però, non ci si arriva dall’oggi al domani.

 

“All’inizio il progetto era una sperimentazione di quello che voleva essere: pensare ai nostri figli staccati dalla famiglia, quando invece da sempre ci hanno detto che sarebbero rimasti a casa, attaccati alla gonna per tutta la vita – spiega Sabrina Marchetti, presidente dell’Associazione Crescere Insieme, promotrice del progetto – All’inizio erano esperienze di due, tre giorni, quasi una vacanza per molti di loro. Poi, invece, i giorni sono diventati più lunghi, fino a due settimane continuative”.

 

Riprende la parola William Zavoli.

“Questo progetto è un ponte, le traiettorie di vita possibili sono molteplici: alcuni ragazzi magari un giorno potranno vivere da soli, altri faranno scelte diverse. Non c’è un obiettivo uguale per tutti. Per ognuno è importante raggiungere la massima autonomia possibile, sia che porti a vivere da soli o a tornare in famiglia. Ma se arrivo alla mia massima autonomia avrò sicuramente una vita migliore, migliori esperienze. A volte siamo noi genitori che freniamo le potenzialità dei nostri figli, e se non mettiamo certi paletti e guardiamo alle loro potenzialità con occhio professionale, faremmo dei passi in meno”.

L’autonomia è una scoperta per molti di questi ragazzi. Parte come una gita scolastica, un momento di vacanza, ma anche nella fase successiva, quando arrivano i problemi, le difficoltà e le responsabilità, rimane un obiettivo a cui nessuno vuole rinunciare.

Famiglie ed educatori lavorano assieme, ma qual è il ruolo di tutti noi?

“Ascoltare e confrontarsi. Mettersi allo stesso livello – dice Sabrina – perché i preconcetti sono sempre tanti, ma alla fine rimane che ognuno di noi ha necessità diverse. Non serve né pietismo, né compassione. Perché c’è tanto lavoro dietro queste famiglie, devono riconfigurarsi, devono confrontarsi con un mondo che ha paura dello sconosciuto. È importante conoscere e informare. Diversità non è solo patologia, ma diversità a 360 gradi. Si parla di qualcosa che ci fa paura solo perché non sappiamo di cosa stiamo parlando”.