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Vietato l'ingresso agli italiani

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di Redazione   
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lun 27 feb 2017 14:31 ~ ultimo agg. 28 feb 17:11
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Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in due e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina; spesso, davanti alle chiese, donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.

Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro.

I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali…

Dal 1919 ad oggi. Qualcuno penserà che in questo scritto si stia parlando di immigrati stranieri in Italia oppure di zingari. In realtà si tratta della Relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani, datato ottobre 1919.

A Rimini, in questi giorni, è riesplosa la protesta dei cittadini delle varie zone di Rimini che non vogliono l’insediamento nel loro quartiere di una (una!) famiglia Sinti. La vicenda è conosciuta.

Il comune di Rimini grazie ad un bando regionale ha acquisito i fondi necessari a smantellare il campo nomadi di via Islanda, mancante delle normali condizioni di sicurezza e di igiene, e ha pensato di collocare le 11 (11!) famiglie Sinti in altrettante zone di Rimini. Molti cittadini riminesi non li vogliono come vicini di casa.

Una signora residente a Corpolò ha dichiarato alla stampa: “Qui ci sono già due famiglie che in estate sono raggiunte da parenti e amici; non ne vogliamo altri”.

 

Dal 1919 sono passati 100 anni ma sembra che la storia non ci abbia insegnato niente.

Cosa sappiamo delle famiglie che non vogliamo vicino alle nostre case? Qui a Rimini, alla luce delle barricate sollevate da alcune famiglie nelle zone dove dovrebbero insediarsi secondo il piano del Comune 11 famiglie Sinti (una per quartiere in zone diverse della città) provenienti dallo smantellamento del vecchio campo di via Islanda (nella foto) sta prendendo piede l’idea che un comitato di onesti cittadini possa decidere chi va bene come vicino di casa. Al momento lo si fa con gli immigrati e con gli zingari, perché “ non siamo noi ad essere razzisti ma sono loro che…”

Ma cosa sappiamo della famiglia Sinti che verrà ad abitare nel nostro quartiere? Assolutamente niente!

Come non sappiamo nulla della famiglia milanese, torinese, napoletana o cinese. E allora è sufficiente la provenienza per negare il diritto alla cittadinanza, come lo è stato per i migranti italianti del primo Novecento?

A quando l’esame per tutte le famiglie che arrivano ad abitare nel quartiere, estendendo così il divieto ai meridionali, alle famiglie con bambini piccoli che disturbano, alle persone che non vogliono produrre il certificato antimafia, a coloro che non possono giurare di non avere mai avuto guai con la giustizia…

Possiamo sperare in una “nuova storia”, come ha auspicato Papa Francesco incontrando in Vaticano una delegazione di comunità Rom e Sinti anche per Rimini?

Possiamo sperare che la città che ha fatto dell’accoglienza la propria vocazione (ma solo se rende economicamente?), sia conosciuta per la convivenza, l’integrazione, l’accoglienza, l’attenzione a chi è in difficoltà? Un luogo dove ogni persona è accolta in nome della sua dignità umana e non per il colore della pelle, dell’etnia o dei soldi che possiede (magari senza chiedersi la provenienza di quei soldi)?

Possiamo sperare che ogni famiglia, di qualunque provenienza sia, in qualunque quartiere di Rimini arrivi, trovi una famiglia che l’accoga, che la inviti a prendere un caffè e che se invitata accetti con gioia?

Siamo chiamati a entrare in un ottica di inclusione; siamo tutti collegati. Ferite e povertà di chi chiede accoglienza potrebbero domani diventare le nostre, come lo furono per i nostri nonni e bisnonni. Al contrario, la cura delle loro ferite e della loro povertà potrà divenire cura per le nostre. La barbarie dell’esclusione, delle barricate, dei muri e dei pregiudizi rende tutti più poveri e soli; la cultura dell’incontro rende tutti più umani e quindi migliori .

 

Cesare Giorgetti

InformaCaritas


 

La Caritas diocesana, insieme all’Associazione Papa Giovanni XXIII, ha recentemente stampato un opuscolo con l’obiettivo di far conoscere meglio la realtà del popolo nomade – Rom e Sinti – presente nel nostro territorio. Nell’opuscolo viene anche riportata in sintesi la legislazione europea e regionale e il pensiero della Chiesa.
Nella sua  introduzione il vescovo di Rimini, Mons. Francesco Lambiasi, scrive:
“Noi dobbiamo sapere che Rom significa Uomo. E dobbiamo ricordare che, per la sola ragione di essere al mondo, ogni uomo è mio fratello. Questo vale anche per Rom e Sinti, come per tutti gli oltre 7 miliardi di esseri umani che popolano il mondo. Ma è proprio così? Noi dobbiamo sapere che il popolo gitano fu il bersaglio spietato dei nazisti, con la morte di oltre 400mila persone, tra cui molti bambini, nei campi di concentramento. Noi dobbiamo ricordare che il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamò la Dichiarazione universale dei diritti umani. E dobbiamo sapere che il 29 marzo 2016 la Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna ha deliberato la Strategia regionale per l’inclusione di Rom e Sinti che prevede indicazioni e norme circa l’abitazione, l’istruzione, il lavoro e la salute di questi fratelli e sorelle. È onesto riconoscere che le condizioni precarie in cui vivono molti di loro contrastano con il rispetto di queste indicazioni. Occorre domandarsi: cosa stiamo facendo perché, per Rom e Sinti, si volti pagina e si dia inizio a una storia nuova e diversa?”.

Il Vescovo poi esorta “tutte le nostre comunità ad avviare processi di reciproca conoscenza con spirito di fraternità, accoglienza e dialogo. Inoltre incoraggio le famiglie cristiane Rom e Sinti a sentirsi parte attiva della grande famiglia di Dio e ad evitare ciò che non è degno della loro vera identità culturale e del nome cristiano”.