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Non vissero felici e contenti

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 20 gen 2017 11:19 ~ ultimo agg. 23 gen 15:58
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Lo chiamerò S. perché la sua vicenda merita rispetto e discrezione, così come quelle di tutti i ragazzi che decidono di lasciare il loro Paese perché non hanno altra scelta…

Valentina Zanframundo, insegnante di italiano degli immigrati, profughi e rifugiati accolti dalla Caritas, in vista della Giornata mondiale del Migrante e rifugiato di domenica 15 gennaio, ha scelto di raccontarci di questo ragazzo, ancora molto giovane, non ancora trentenne, che sognava come tanti suoi coetanei di poter amare liberamente, ma i cui sogni sono andati infranti.

S. credeva di poter scegliere chi essere e con chi vivere il suo futuro. La vita, però, gli ha dimostrato che non sempre c’è un lieto fine quando si parla di amore e che “vissero felici e contenti” e una formula anacronistica e spesso surreale.

In Pakistan i genitori molto spesso decidono con chi dovrai passare il resto della tua vita, non importa se c’è amore o meno; l’amore arriverà, ciò che importa è che porti rispetto verso le regole che la famiglia e la tradizione ti impongono senza che tu possa tentare di opporti.

Non esiste scelta, a meno che la scelta non sia un rischio per la tua vita e quella del tuo amato/a.

L’amore si deve costruire razionalmente, non può sbocciare spontaneamente come un fiore nel più fertile terreno.

S. però ha trovato il suo fiore, tra mille fiori di diversi colori e forme, e si è innamorato perdutamente.

Sapeva che non sarebbe stato facile coronare il suo sogno, ma sapeva anche che senza sogni noi non siamo nulla, siamo ridotti a mero calcolo, freddo cinismo e vile paura.

 

La famiglia di S. non è certo benestante, ha sempre cercato di lavorare onestamente per consentire al figlio di vivere serenamente e poter scegliere chi essere, una volta cresciuto. Grazie a questa libertà S. ha studiato scienze politiche, si è laureato e ha scoperto la sua passione per lo studio, la politica, i popoli e la scrittura. Quando ci siamo conosciuti ho capito subito chi avevo di fronte, un ragazzo di una profondità irraggiungibile, di una sensibilità unica che sfida il suo dolore con lo studio e la scrittura.

Ama la lingua italiana ed essendo così colto, ha appreso molto velocemente anche le più difficili sottigliezze della nostra difficile lingua. Ama le mie lezioni, è sempre attento, rispettoso e grato. Inizialmente molto timido e riservato, quando ha compreso la mia apertura nei suoi confronti e il rispetto che nutro nei riguardi della sua storia, non ha esitato a fidarsi e a raccontarsi.

I suoi occhioni neri e profondi e il suo sorriso sempre pronunciato in realtà mi avevano già parlato del suo dolore prima che lui decidesse spontaneamente e consapevolmente di farlo.

Lui ha lottato per i suoi sogni, ma la vita non ha lottato con lui. S. aveva promesso alla donna della sua vita che l’avrebbe sposata, andando contro tutti e contro tutto e così ha fatto, di nascosto, come se, semplicemente amando, stesse facendo qualcosa di sbagliato, di illegittimo. Quando racconta il giorno del suo matrimonio gli occhi gli si riempiono di lacrime e dal suo volto riesco a leggere tutto l’amore che prova per questa ragazza.

“ Marriage love” lo definisce e io stupidamente sorrido. Che strana frase amico mio, per noi che non conosciamo altre forme di matrimonio se non quello d’amore. Nella mia mente stride questo concetto, mentre lo vedo così sofferente.

Cos’è in fondo l’amore se non una scelta?

Si sono sposati come promesso, scatenando l’ira della potente famiglia della ragazza, famiglia nota in tutta la città per l’importante ruolo politico che ricopre. Ira funesta che un po’ come nei film, cerca di attuare la sua vendetta, ma questo non è un film, è la vita reale e purtroppo l’epilogo non è lieto.

Quando si è potenti e conosciuti del resto si arriva ovunque ed è grazie alla notorietà di questa famiglia che, pochi giorni dopo il “ marriage love”, il padre dell’amata si è potuto recare a casa dei novelli sposi che, per sentirsi al sicuro, nel frattempo si erano trasferiti. Non è stato difficile trovarli, aiutato nell’impresa dalla polizia locale.

 

Quando S. ha aperto la porta sapeva che il suo sogno si stava frantumando davanti ai suoi occhi, ma non sapeva come. Un proiettile freddo, deciso e diretto ha colpito la moglie che si è subito accasciata sul pavimento.

Quante volte ho pensato e ripensato al volto di quella ragazza che S. mi dipingeva sempre come fa qualsiasi innamorato, come meraviglioso, dolce, candido, quasi paradisiaco.

Che occhi può avere una ragazza un attimo prima della morte, quando realizza che chi l’ha messa al mondo la sta uccidendo una seconda volta con cinismo e freddezza? Non bastava aver ucciso i suoi sogni, bisognava far morire gli artefici di questo folle volo così egoisticamente sbagliato.

Ecco cosa restava di questo splendido amore: la consapevolezza che a volte i sogni non si realizzano, che oltrepassare i limiti imposti dalla cultura, dalla tradizione, ancora oggi uccide l’amore e la vita.

Soltanto tre parole verso S: “ Tu hai ucciso mia figlia”, poi il padre si è voltato, lasciando cadere la pistola, ed è sparito.

Ora S. è indagato per la morte di sua moglie, la polizia locale lo cerca per rinchiuderlo per sempre in galera (nella migliore delle ipotesi).

Quello che non sa nessuno è che lui la sua galera la sta scontando ogni giorno, quando la mattina si alza, si veste, viene a scuola, sorride, mi ringrazia e si racconta.

Perché lui sa che il suo è stato un sogno talmente breve da essersi consumato tra il bello e il brutto, tra la meraviglia e la tragedia, ed è consapevole che non ci sarà mai più nella sua vita una donna che potrà prendere il posto della sua dolce amata perché “ nella vita, mia cara maestra, si ama così forte una volta sola”.

 

Un’ultima postilla a chi ancora si ostina a chiedermi, quando mi incontra, a cosa serve il mio lavoro, perché ci sono così tanti immigrati ancora e cosa vengono a fare.

Voi cosa fareste nel momento in cui avete realizzato di aver perso tutto: l’Amore, i sogni, la dignità, la libertà? Scegliereste di togliervi la vita o di provare a ricominciare laddove la vita non significa rischiare di morire?

Lui mi ha risposto così: “ Nel dolore, dal dolore e con il dolore, ricomincio da zero, costruisco dalle macerie, sapendo che un giorno finalmente potrò riabbracciarla”.

Io mi sento solo di accogliere, di condividere e di ringraziare per il dono che S. mi ha fatto e continua a farmi ogni giorno.

 

Valentina Zanframundo

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