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Attualità Rimini

Divise, pali e rimpalli. E il nautofono resta un ricordo

In foto: repertorio
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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
gio 10 nov 2016 13:48 ~ ultimo agg. 11 nov 11:26
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Che fine ha fatto il nautofono di Rimini? La risposta arriva dal sindaco Andrea Gnassi che riepiloga la vicenda del tentativo di acquisire la struttura, un tentativo che al momento pare essersi perso nella fitta nebbia delle lungaggini e della burocrazia.


 

A voler raccontare tutta la vicenda del nautofono di Rimini viene da sorridere. Non ci sono grosse cifre in ballo né questioni strategiche per il futuro della città, ma si tratta semplicemente della volontà dell’Amministrazione di non perdere un simbolo, quel nautofono che oltre a rappresentare ancora un utile ausilio per le piccole imbarcazioni con il suo inconfondibile suono, racchiude parte dell’identità riminese. Non a caso quando fu smontato, ormai agli inizi del 2013 – a seguito dell’orientamento affermato dagli organismi deputati di procedere alla graduale dismissione di questi strumenti – molti cittadini si mobilitarono chiedendo al Comune di farsi parte attiva per riportare il nautofono al suo posto, ovvero sul molo. E così fu. Lieto fine allora? Non proprio.

Il Comune prese a cuore la richiesta, tanto da spendersi nell’immediato con il competente Comando dei fari e dei segnalamenti marittimi di Venezia ’Marifari’, chiedendo di valutare l’opportunità di ripristino del nautofono anche a fronte di un contributo economico del Comune. I presupposti c’erano: a fine dicembre 2013 con una nota, il Comando MariFari comunicava al Comune la propria disponibilità alla cessione definitiva del nautofono, per un importo di 5.600 euro. L’amministrazione quindi ha inizato a muoversi in raccordo con Capitaneria e Ministero per recuperare la somma richiesta e acquisire di tutti i pareri favorevoli per la ricollocazione dell’apparato al molo. Lieto fine allora? Non proprio.

Le prime complicazioni arrivano nel settembre 2014 quando il Ministero recapita al Comune la proposta di convenzione con la quale ‘permutare’ la somma di 5.600 euro destinata all’acquisto del nautofono in vestiario militare specialistico per il proprio personale. Non è possibile per legge il contributo diretto ma solo una sorta di ‘baratto’. In altre parole il nautofono in cambio di divise. L’amministrazione quindi si mette alla ricerca di un soggetto in grado di fornire il materiale militare specialistico richiesto dal Ministero e individua una gara pubblica di fornitura. Segue una lunga fase di approfondimenti e pratiche portati avanti da Amministrazione e Ministero prima di arrivare a maggio 2015, quando il Comune trasmette a MariFari una bozza di accordo sulla base di quanto deciso nei mesi precedenti, ovvero per l’acquisizione del nautofono con accollo in capo al Comune delle spese per la fornitura di vestiario a MariFari. Dopo quattro mesi, a ottobre 2015 e con l’avvicinarsi di una nuova stagione invernale, l’Amministrazione torna a sollecitare MariFari, che fa sapere che la pratica è ancora al vaglio dei comandi sovraordinati e a cui la stessa MariFari deve rendere conto. Sembra una formalità. Ma nel frattempo accade anche un avvicendamento di comando alla MariFari con conseguente necessità che visione della cosa da parte del subentrante.

Si arriva a marzo di quest’anno, quando da Mari Fari pare arrivare il via libera all’accordo nei termini stabiliti: un via libera ritirato solo pochi giorni dopo, quando si viene a sapere del parere negativo alla ‘contropartita’ definita già nel 2014 dal Ministero, ovvero i capi di vestiario. Adesso quindi si propone all’Amministrazione di acquistare in permuta non più divise, ma pali per l’ormeggio per lo stesso valore già definito.

Al momento l’Amministrazione è in attesa che la richiesta venga formalizzata da MariFari.

La ricostruzione di questa vicenda evidenzia quindi tutta la farraginosità di uno Stato dove anche il semplice acquisto di un’apparecchiatura ‘inutile e pensionata’, entra in un meccanismo infernale fatto di rimpalli, lentezze, trafile, pause di riflessione, leggi e leggine che comporta uno spreco di tempo e risorse (e di fegato…) per tutti i soggetti coinvolti.  Se è vero che le Amministrazioni comunali sono chiamate per rispetto dei cittadini e per efficientare il lavoro ad una semplificazione della ‘macchina’, credo non sia più rinviabile uno snellimento amministrativo generale, una riforma dell’amministrazione italiana in cui, anche per ritornare in possesso di un piccolo simbolo della comunità, non si finisca avvolti da una nebbia fitta e impenetrabile.

Andrea Gnassi