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La parola ai trentenni

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mar 26 apr 2016 11:22
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La riflessione sulla generazione dei trentenni che ho tentato di proporre dopo la tragedia del Collatino a Roma, ha stimolato numerose reazioni. Troppo preziose per non raccoglierle e continuare così a discutere.
Scrive Carlo, uno dei tanti che si sta costruendo un futuro all’estero: “Credo che ci siano tre cose da prendere in considerazione: Innanzitutto siamo la prima generazione a vivere in uno stato di continua “crisi” (i primi anni novanta e le crisi del sistema politico italiano e di tutto un mondo di riferimenti, dal posto fisso ai partiti tradizionali, alla pensione sicura…). In qualche modo ci è sempre stato detto che non ci sarebbe stato un futuro. In secondo luogo siamo la prima generazione “di minoranza” – numericamente siamo meno non solo dei nostri genitori ma anche dei nostri nonni. In più “valiamo” anche meno per il mercato visto il nostro scarso potere reddituale. Terzo: siamo figli di una generazione, i baby boomer, che ha distrutto i valori precedenti senza veramente costruirne dei nuovi. Il risultato è che il nostro universo di valori è stato sempre schizofrenico e tendenzialmente appiattito su un relativismo intollerante e modaiolo”. Concorda con lui Alessandra: “Io penso che siamo una generazione che, da che ne abbia memoria, ha purtroppo assorbito sempre una sorta di “pessimismo sociale”, molto spesso eccessivo e immotivato. E in questo pantano o rimani un eterno adolescente o diventi da subito fin troppo adulto”.
È una crisi di valori, anche per Daniele: “Io penso che un ruolo determinante lo abbia anche lo smarrimento di una prospettiva di Fede. Lo dice bene Don Armando Matteo in ‘La prima generazione incredula’: la prima generazione di persone “senza Fede” è la nostra, quella dei 30enni di oggi”. Dello stesso parere Carmela: “Ho 35 anni. alle riflessioni che hai fatto, aggiungerei che la nostra generazione non ha mai avuto grandi ideali, siamo quelli del post: post modernità, postcomunismo, post boom economico, etc… A ragione non crediamo nella politica, ma non abbiamo cercato neanche più di tanto dei valori alternativi”. E Maria Rosaria: “La deriva dei due killer del Collatino è un’estremizzazione di un fenomeno che purtroppo colpisce molti nostri coetanei. La mancanza di senso della vita. Io non vedo altro in questa vicenda e nel consumarsi violento della vita di molti altri”.

 

C’è poi, impossibile negarlo, il problema del lavoro. Andrea, che si è da poco laureato in giurisprudenza a Milano, scrive: “Ci sono due aspetti su cui rifletto da tempo. Innanzitutto il paradosso per cui la nostra società mediamente economicamente “sta bene” (nonostante la crisi), ma i giovani non trovano lavoro. Questo crea una sproporzione tra potenzialità, idealità, benessere e difficoltà nell’incanalare tutto ciò all’interno di un progetto di vita aperto alla solidarietà e alla comunità. Qui credo nasca anche il problema della partecipazione “politica”: il sano egoismo di pensare alla sicurezza lavorativa per il futuro rompe la catena di disponibilità a servire tutti e, al crescere della disaffezione, non fa nascere un moto di impegno”.
C’è chi sceglie di andarsene, è il caso dell’autore del blog “Italiano in America” che commenta: “Queste considerazioni mi mettono un velo di tristezza soprattutto perché non vedo alcuno spiraglio. Credo che la nostra generazione sia nata alla fine di un boom economico e di benessere nella quale l’Italia si crogiolava le cui ripercussioni si sono manifestate a partire dalla nostra generazione. penso che la strada sia ancora lunga ed in salita purtroppo, motivo per cui a breve mi trasferisco con mia moglie e mio figlio negli Stati Uniti”.

Ma c’è anche chi non si trova d’accordo con questa visione e non ne fa una questione generazionale, per esempio Matteo: “Mi sembra un articolo fuorviante. Non capisco il collegamento fatti di Roma con i trentenni. Del resto un omicidio del genere era già accaduto negli anni Settanta, leggere alla voce Circeo. Ne discusse in modo lucido ed efficace Pasolini, che aveva già parlato di mutazione antropologica. Diciamo che questa mutazione ha avuto una trasformazione ancora più crudele e sadica”.
E anche Francesco ha qualche dubbio: “Sinceramente mi lascia un po’ perplesso l’idea di prendere i protagonisti di un caso di cronaca e farne dei simboli generazionali (fu fatto anche quando noi eravamo liceali, e ci fu il caso di Erika e Omar), e da bravo storico attento più al dettaglio e alla concretezza che alle grandi generalizzazioni mi lascia perplesso anche l’idea di creare una grande categoria comprensiva di tutto quello che sono i trentenni. Ad ogni modo, un problema c’è e ovviamente lo percepiamo un po’ tutti nelle nostre vite di tutti i giorni. Scetticismo, disincanto, tendenza a sfociare nel cinismo sono sentimenti che provo pure io; credo che ciò sia dovuto principalmente al fatto che viviamo in una società diversa da come l’abbiamo sognata, e alla forte percezione del fatto che non siamo minimamente in grado neppure di incidere sull’andamento di questa società, ma siamo anzi soggetti a meccanismi spesso incomprensibili cui dobbiamo volenti o nolenti inchinarci”.

È di questi giorni molto attuale, inoltre, il dibattito sul tema delle pensioni, con dichiarazioni preoccupanti. Secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri i nati negli anni ’80 difficilmente avranno la pensione nell’età giusta a causa dei contratti precari e di una discontinuità contributiva. Ha commentato così la notizia la scrittrice sarda Michela Murgia su Repubblica: “In quella generazione depredata è l’Italia che si è perduta, sacrificando milioni di intelligenze, di idee e di potenzialità all’avidità di una parte del mondo industriale, quello che conta, convinto che la vita di quelle persone non sia una risorsa, ma un costo da abbassare fino a metterlo in concorrenza col più basso salario al mondo. Non è la pensione la speranza perduta dei trentenni: è il futuro”.
Tante domande, nessuna vera risposta ma sicuramente la necessità di interrogarci su quello che siamo e che vorremmo e dovremmo essere, in un contesto storico davvero complesso che dobbiamo, ad ogni modo, imparare ad abitare. Grazie davvero a tutti per questo ricco confronto… che ovviamente non si esaurisce qui.