Indietro
giovedì 25 aprile 2024
menu
Blog/Commenti

Elogio dell'ingratitudine

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 14 dic 2015 16:03
Facebook Whatsapp Telegram Twitter
Print Friendly, PDF & Email
Tempo di lettura 2 min Visualizzazioni 1.777
Facebook Twitter
Print Friendly, PDF & Email

Con tutto quello che ho fatto per lui…è questo il modo di ripagarmi?
Quante volte ho pensato, detto o sentito pronunciare questa frase.

 

Non sono genitore, ma immagino che sia un pensiero che ogni tanto sfiora anche i padri e le madri. So per certo che è una sensazione ricorrente per chi opera in ambito educativo o sociale. Capita spesso di sentirsi delusi o frustrati quando ci sembra che le attenzioni o il tempo che abbiamo dedicato a qualcuno non siano ricompensati da eguale impegno e dagli attesi risultati.

 

È un sentimento diffuso anche in chi fa esperienze di volontariato. Nel nostro immaginario molto spesso quelli che definiamo “poveri” e ai quali dedichiamo cure e attenzioni dovrebbero essere pieni di gratitudine per quello che facciamo per loro. Sorridenti e soddisfatti quando serviamo loro un pasto caldo o portiamo una coperta. Riconoscenti se grazie a noi trovano casa o un lavoro. Pronti a ricordarsi di noi quando magari migliorano la loro situazione.

 

Mi è capitato spesso, invece, di sentire pronunciare da chi si avvicinava al mondo del volontariato, queste frasi: “Gli abbiamo portato vestiti e cose da mangiare…non ci ha neppure ringraziato”, “Quel senzatetto…quante volte gli hanno proposto un letto alla Caritas? Perché continua a dormire in strada e a rifiutare ogni aiuto?”, “Vorrei aiutarlo…ma è così indisponente…”.
Sono ragionamenti plausibili e forse anche giusti. Ma ergersi a giudici di chi vive situazioni e storie di vita così diverse dalle nostre è rischioso.

 

Per questo, oggi, vorrei tessere l’elogio dell’ingratitudine.
Non fraintendetemi: nella mia vita mi è sempre stato insegnato il valore di un “grazie” e non mi stancherò mai di ripetere questa parola e provare sincera riconoscenza per tutto quello che ho, per le persone che incontro, per la mia vita.

Ma l’ingratitudine, presunta o reale, di coloro che per qualche ragione incrociano il nostro cammino e la nostra professione può esserci di grande aiuto.

È un antidoto al narcisismo, all’autoreferenzialità, alla ricerca di gratificazioni che più che fare bene all’altro, fanno bene a noi stessi. Ci aiuta a purificare il nostro sguardo e il nostro modo di agire. Ci richiede uno sforzo ulteriore, ma necessario e importante, di gratuità e libertà. Per chi crede, è un’occasione per elevarci anche dal punto di vista spirituale.

 

Potrà sembrare un discorso fuori luogo in questo periodo dell’anno in cui ci prepariamo al Natale, che è per antonomasia il tempo in cui si esaltano i valori della bontà e della solidarietà.

Ma io voglio dire grazie anche all’ingratitudine.
Perché tutte le volte in cui l’ho incontrata, mi ha permesso di essere più vera, di purificare i miei sentimenti e i miei affetti, di imparare ad agire in maniera disinteressata senza sentirmi per forza la persona più buona.

 

Mi ha permesso di sentirmi più libera e di rimettere a fuoco in maniera autentica ciò che sono e che voglio essere in rapporto agli altri, soprattutto quando qualcuno mi chiede aiuto.