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Garden Sporting Center Rimini

Medicina Educazionale, quando lo sport può sostituire il farmaco

Tempo di lettura lettura: 3 minuti
lun 9 nov 2015 22:00 ~ ultimo agg. 2 nov 10:25
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Curarsi con lo sport? Perché no. Ci sono delle patologie croniche che possono essere alleviate attraverso l’attività fisica. Piegamenti e salti possono essere dosati come fossero una medicina e i progressi dei pazienti monitorati costantemente.

È questo il cuore del progetto di Medicina Educazionale che coinvolge le realtà riminesi del Policlinico Valturio, il Garden Sporting Center e lo Steven Sporting Club.
Obiettivo? Migliorare la qualità della vita di pazienti diabetici, osteoporotici e ipertesi, coinvolgendoli in un progetto di attività sportiva mirata.

Il tutto parte a gennaio 2016 anche se nelle sale del Garden Sporting Center si è già a lavoro per formulare dei protocolli specifici di accesso e di trattamento dei pazienti.
Matteo Fabrizi, 37 anni – un diploma Isef conseguito presso l’Università degli Studi di Urbino; una Laurea in fisioterapia all’Università Politecnica delle Marche; una serie di studi di ricerca sul rapporto tra attività fisica e malattia; e 10 anni di onorato servizio sul campo – è uno dei tre professionisti del Garden Sporting Center che si relazionerà con questi “sportivi speciali”,
insieme a Giorgio Bugli e Marina Biagini, anche loro istruttori qualificati e formati per “somministrare” attività fisica a pazienti diabetici, ipertesi e osteoporotici.

Abbiamo chiesto loro di spiegarci meglio le caratteristiche del progetto di Medicina Educazionale.

Fabrizi, come nasce questo progetto?
“Il progetto frulla da tempo nei nostri pensieri. Abbiamo sempre pensato all’importanza della Medicina Educazionale e adesso grazie alla collaborazione con gli altri soggetti stiamo portando avanti un qualcosa di veramente importante”.

Raccontaci qualcosa di più…
“Questo progetto è rivolto a persone malate di: diabete, ipertensione e osteoporosi. Effettuata l’anamnesi medica il paziente viene inviato, dal medico, presso i nostri centri (Garden e Steven, ndr) a fare attività fisica. Come ho già detto, lo sport in questo percorso viene trattato come un farmaco e di conseguenza dovrà essere stabilita anche una dose specifica, e specifiche durata e intensità”.

Giorgio, lo studio del paziente in relazione all’attività fisica, viene fatto solo a livello preliminare?
“No, il monitoraggio sarà costante. Ad un diabetico, per esempio, dovrà essere controllata la glicemia prima e dopo l’attività fisica, per verificare l’effetto del dosaggio, proprio come si fa con i farmaci”.

Ma sarà sempre così? Saranno seguiti sempre?
“Si saranno seguiti sempre ma in modo, via via meno invasivo. I pazienti sono uguali agli altri sportivi, devono solo calibrare la loro macchina/corpo in modo più accurato e preciso. Ognuno, dopo aver acquisito conoscenze su se stesso potrà avviare dei percorsi sportivi più autonomi, consapevole che noi saremo sempre lì a dar loro una mano”.

Ci sono state persone che si sono interessate a prendere parte a questo progetto?
“Non ho un numero preciso ma l’attenzione è molto alta. Comunque, dentro le nostre strutture noi stiamo già trattando casi di cardiopatici, diabetici e persone con osteoporosi”.

Marina, hai un approccio diverso con gli “sportivi malati” rispetto ai “normo-sportivi”?
“No. Tutte le persone che iniziano un percorso sportivo necessitano di una valutazione. Anche chi vuole dimagrire oppure vuole incrementare la sua massa muscolare dovrà valutare come modulare l’esercizio fisico. La differenza sostanziale è il tipo di valutazione che viene fatta”.

I pazienti sono tranquilli?
“Si, ci teniamo molto a dare loro molta sicurezza. Per noi è molto importante che le persone si allenino in sicurezza”.

Tutti sono consapevoli dell’importanza dello sport come un piccolo/grande mattoncino per contrastare la malattia?
“La consapevolezza è uno dei punti chiave. Attualmente l’informazione anche in campo medico punta al benessere generato dall’attività fisica. Quando vengono da noi, tecnicamente non sanno cosa fare ma sanno che l’attività fisica gli darà dei benefici”.

Matteo, avrete dei pazienti bambini? Avete parlato di questa possibilità?
“Non lo escludiamo. Il Garden deve essere – soprattutto essere – un luogo di prevenzione e non solo un luogo dove curare delle persone. Il nostro ruolo è quello di prevenire l’insorgere di determinate problematiche. Noi cerchiamo di far passare – soprattutto ai bambini – una cultura dell’attività fisica ma anche una cultura del mangiar bene. Anche perché problematiche come il diabete, l’osteoporosi e l’ipertensione si possono prevenire. Noi qui cerchiamo anche questo”.

Sembrate tutti e tre prontissimi ad affrontare questa nuova avventura. C’è qualcosa che volete dire a queste persone?
“Si, ai pazienti vogliamo dire che non sono persone diverse dalle altre. Per molto tempo c’è stata una sorta di ghettizzazione. Un problema culturale che ha spinto i malati stessi a non andare in palestra per timore di non saper essere gestiti. In questo senso ci preme sottolineare che queste persone si allenano insieme alle altre, svolgono i medesimi esercizi seppur con intensità e modalità diversa. Non devono sentirsi malati tutta la vita”.

 

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