Dieci cose che ho imparato dai ragazzi in comunità
Potrà sembrare un po’generico e rischioso, ma dopo quasi sei anni trascorsi ad ascoltare le storie di ragazzi fuori famiglia (due settimane fa l’ultima occasione: http://www.newsrimini.it/2015/10/neomaggiorenni-care-leavers-ragazzi/) e a condividere la loro quotidianità, ecco dieci cose importanti che credo di aver imparato dalle ragazze e dai ragazzi che vivono in comunità o in casa-famiglia:
- Il valore di condividere. Che sia l’ultima fetta di torta la mattina a colazione, il telecomando il sabato sera o la tua camera da letto, se vivi in casa con altre dieci persone, non puoi permetterti di pensare solo a te stesso. E se l’istinto di sopravvivenza ti insegna la necessità di conquistarti i tuoi piccoli spazi di autonomia, al tempo stesso quella tensione a condividere e a pensare sempre un po’anche agli altri diventa parte di te.
- Ho imparato che ci sono legami più forti del sangue. Genitori, fratelli, sorelle…che con te non hanno in comune lo stesso sangue e gli stessi geni, ma che sono a tutti gli effetti la tua famiglia. Legami costruiti nel corso del tempo, inaspettatamente saldi e potenti.
- Che la casa è il luogo dove ti senti accolto e accettato. Spesso chi cresce “fuori famiglia” è costretto ogni tanto a cambiare casa, talvolta anche città. A volte puoi sentirti senza radici, in altri casi impari in ogni luogo a costruire dei legami e diventi un po’cittadino del mondo. E così anche la parola “casa”, come la parola “famiglia”, può assumere un valore molto più profondo e più ampio.
- Che il destino non è un libro già scritto. Il fatto che nella tua vita tu abbia vissuto esperienze difficili, talvolta drammatiche, non significa che necessariamente dovrai ripetere gli stessi errori dei tuoi genitori o che la tua storia sia già scritta. Si chiama resilienza. E si realizza quando ti scopri, contro ogni premonizione e speranza, più forte di quanto credevi.
- “Ciascuno cresce solo se sognato”, scriveva Danilo Dolci. Ho imparato che per crescere, è importante incontrare qualcuno che crede in te. Diventare grandi è difficile, soprattutto quando la tua storia ti ha portato ad avere poche certezze e poca fiducia in te stesso. Incontrare qualcuno che crede in te, ancora prima di quanto tu faccia, è un passo fondamentale per trovare la forza e il coraggio di costruire il tuo futuro. E questo comprende anche trovare qualcuno che ti ascolti e che consideri importante il tuo punto di vista.
- Che le differenze possono convivere. Mentre il mondo sembra oggi impreparato alle sfide poste dai fenomeni migratori e dalla necessità di aprire un dialogo interculturale e interreligioso, i ragazzi cresciuti in casa-famiglia e in comunità hanno imparato da tempo a convivere sotto lo stesso tetto con persone che provengono da mondi ed esperienze diverse. Hanno imparato a confrontarsi con le differenze, a viverle come se fossero la normalità, con tutte le difficoltà e anche la ricchezza che questo comporta.
- Che la famiglia perfetta non esiste. È doloroso da ammettere e da accettare, ma a volte la famiglia più di ogni altro luogo è fonte di dolore e sofferenza. Per questo è importante imparare a sospendere il giudizio, a non dividere il mondo in buoni e cattivi, a leggere tra le righe di ogni storia e di ogni comportamento e a mettere sempre e comunque al primo posto il benessere dei più piccoli.
- Che chiedere aiuto è un atto di dignità e coraggio. Per questo dobbiamo impegnarci a costruire un mondo e una comunità in cui chi vive un momento di fragilità o debolezza non debba sentirsi giudicato, in cui ammettere i propri limiti non sia una colpa, in cui il dolore si possa dire, raccontare, esplicitare perché sai che dall’altra parte c’è qualcuno disponibile a tenderti la mano.
- Molti credono che i ragazzi che hanno vissuto esperienze traumatiche non siano in grado di cimentarsi in attività associative. Ci impegniamo, giustamente, a proteggerli ma un’associazione come Agevolando mi ha insegnato che offrire ai ragazzi l’opportunità di prendere la parola, esprimere un’opinione, partecipare, sentirsi protagonisti può avere risultati sorprendenti e innescare positivi cambiamenti. Perché la vera sfida è imparare a partecipare[1].
- Infine ho imparato il valore di restituire. Il fatto che tu abbia avuto bisogno di aiuto, non significa che tu non sia in grado di restituire quanto hai ricevuto o che tu non abbia niente da offrire. Si possono aiutare gli altri raccontando la propria storia come un salvagente gettato a chi ancora cerca di salvarsi e non annegare. Ma si può inoltre restituire l’aiuto ricevuto attraverso forme di volontariato, esperienze anche informali di mutuo aiuto e sostegno reciproco.
I ragazzi e le ragazze che vivono o hanno vissuto in comunità mi insegnano ogni giorno che l’aiuto ricevuto può essere restituito in maniera creativa e responsabile a tutta la collettività. Dimostrando così di scardinare ogni logica assistenziale e dando vita, invece, a inaspettati processi generativi.
Silvia Sanchini
Foto: Alice Gaudenzi (per la mostra “Capitolo 18”)
[1] Per approfondire questo argomento consiglio due articoli: “Verso un welfare generativo con giovani in uscita da percorsi di tutela” (in: https://shop.fondazionezancan.it/product/studi-zancan-3-2015/) e “La partecipazione di ragazzi e ragazze come luogo di possibilità” (in: http://piattaformainfanzia.org/lopinione/diletta-mauri-la-partecipazione-di-ragazzi-e-ragazze-come-luogo-di-possibilita/)