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Dieci cose che ho imparato dai ragazzi in comunità

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mer 4 nov 2015 10:21 ~ ultimo agg. 17:34
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Potrà sembrare un po’generico e rischioso, ma dopo quasi sei anni trascorsi ad ascoltare le storie di ragazzi fuori famiglia (due settimane fa l’ultima occasione: http://www.newsrimini.it/2015/10/neomaggiorenni-care-leavers-ragazzi/) e a condividere la loro quotidianità, ecco dieci cose importanti che credo di aver imparato dalle ragazze e dai ragazzi che vivono in comunità o in casa-famiglia:

  1. Il valore di condividere. Che sia l’ultima fetta di torta la mattina a colazione, il telecomando il sabato sera o la tua camera da letto, se vivi in casa con altre dieci persone, non puoi permetterti di pensare solo a te stesso. E se l’istinto di sopravvivenza ti insegna la necessità di conquistarti i tuoi piccoli spazi di autonomia, al tempo stesso quella tensione a condividere e a pensare sempre un po’anche agli altri diventa parte di te.
  2. Ho imparato che ci sono legami più forti del sangue. Genitori, fratelli, sorelle…che con te non hanno in comune lo stesso sangue e gli stessi geni, ma che sono a tutti gli effetti la tua famiglia. Legami costruiti nel corso del tempo, inaspettatamente saldi e potenti.
  3. Che la casa è il luogo dove ti senti accolto e accettato. Spesso chi cresce “fuori famiglia” è costretto ogni tanto a cambiare casa, talvolta anche città. A volte puoi sentirti senza radici, in altri casi impari in ogni luogo a costruire dei legami e diventi un po’cittadino del mondo. E così anche la parola “casa”, come la parola “famiglia”, può assumere un valore molto più profondo e più ampio.
  4. Che il destino non è un libro già scritto. Il fatto che nella tua vita tu abbia vissuto esperienze difficili, talvolta drammatiche, non significa che necessariamente dovrai ripetere gli stessi errori dei tuoi genitori o che la tua storia sia già scritta. Si chiama resilienza. E si realizza quando ti scopri, contro ogni premonizione e speranza, più forte di quanto credevi.
  5. “Ciascuno cresce solo se sognato”, scriveva Danilo Dolci. Ho imparato che per crescere, è importante incontrare qualcuno che crede in te. Diventare grandi è difficile, soprattutto quando la tua storia ti ha portato ad avere poche certezze e poca fiducia in te stesso. Incontrare qualcuno che crede in te, ancora prima di quanto tu faccia, è un passo fondamentale per trovare la forza e il coraggio di costruire il tuo futuro. E questo comprende anche trovare qualcuno che ti ascolti e che consideri importante il tuo punto di vista.
  6. Che le differenze possono convivere. Mentre il mondo sembra oggi impreparato alle sfide poste dai fenomeni migratori e dalla necessità di aprire un dialogo interculturale e interreligioso, i ragazzi cresciuti in casa-famiglia e in comunità hanno imparato da tempo a convivere sotto lo stesso tetto con persone che provengono da mondi ed esperienze diverse. Hanno imparato a confrontarsi con le differenze, a viverle come se fossero la normalità, con tutte le difficoltà e anche la ricchezza che questo comporta.
  7. Che la famiglia perfetta non esiste. È doloroso da ammettere e da accettare, ma a volte la famiglia più di ogni altro luogo è fonte di dolore e sofferenza. Per questo è importante imparare a sospendere il giudizio, a non dividere il mondo in buoni e cattivi, a leggere tra le righe di ogni storia e di ogni comportamento e a mettere sempre e comunque al primo posto il benessere dei più piccoli.
  8. Che chiedere aiuto è un atto di dignità e coraggio. Per questo dobbiamo impegnarci a costruire un mondo e una comunità in cui chi vive un momento di fragilità o debolezza non debba sentirsi giudicato, in cui ammettere i propri limiti non sia una colpa, in cui il dolore si possa dire, raccontare, esplicitare perché sai che dall’altra parte c’è qualcuno disponibile a tenderti la mano.
  9. Molti credono che i ragazzi che hanno vissuto esperienze traumatiche non siano in grado di cimentarsi in attività associative. Ci impegniamo, giustamente, a proteggerli ma un’associazione come Agevolando mi ha insegnato che offrire ai ragazzi l’opportunità di prendere la parola, esprimere un’opinione, partecipare, sentirsi protagonisti può avere risultati sorprendenti e innescare positivi cambiamenti. Perché la vera sfida è imparare a partecipare[1].
  10. Infine ho imparato il valore di restituire. Il fatto che tu abbia avuto bisogno di aiuto, non significa che tu non sia in grado di restituire quanto hai ricevuto o che tu non abbia niente da offrire. Si possono aiutare gli altri raccontando la propria storia come un salvagente gettato a chi ancora cerca di salvarsi e non annegare. Ma si può inoltre restituire l’aiuto ricevuto attraverso forme di volontariato, esperienze anche informali di mutuo aiuto e sostegno reciproco.

I ragazzi e le ragazze che vivono o hanno vissuto in comunità mi insegnano ogni giorno che l’aiuto ricevuto può essere restituito in maniera creativa e responsabile a tutta la collettività. Dimostrando così di scardinare ogni logica assistenziale e dando vita, invece, a inaspettati processi generativi.

 

Silvia Sanchini

 

Foto: Alice Gaudenzi (per la mostra “Capitolo 18”)

[1] Per approfondire questo argomento consiglio due articoli: “Verso un welfare generativo con giovani in uscita da percorsi di tutela” (in: https://shop.fondazionezancan.it/product/studi-zancan-3-2015/) e “La partecipazione di ragazzi e ragazze come luogo di possibilità” (in: http://piattaformainfanzia.org/lopinione/diletta-mauri-la-partecipazione-di-ragazzi-e-ragazze-come-luogo-di-possibilita/)