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Nazionale Rimini Social

Intervista a Federico Zullo, Presidente e fondatore dell’Associazione Agevolando

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
gio 15 ott 2015 15:57 ~ ultimo agg. 27 ott 11:41
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Federico Zullo, classe 1979, coordina a Ferrara presso l’Istituto Don Calabria una comunità proprio per giovani neomaggiorenni. Ha curato insieme a Paola Bastianoni il volume: Neomaggiorenni e autonomia personale. Resilienza ed emancipazione (Carocci 2012). Da una sua felice intuizione è nata nel 2010 l’associazione Agevolando (www.agevolando.org), la prima associazione in Italia promossa da giovani che hanno vissuto parte della loro infanzia e adolescenza “fuori famiglia”. La rivista Vita – importante testata del non profit in Italia – lo ha inserito tra i cento talenti giovani che stanno cambiando l’Italia.

 

Il tema dei ragazzi “fuori famiglia” è probabilmente ancora poco conosciuto e dibattuto in Italia. Che cosa si intende quanto parliamo di questi giovani e qual è attualmente la portata del fenomeno nel nostro paese?
Il fenomeno dei bambini e ragazzi “fuori famiglia” è un tema forte perché riguarda tutti quei minori che, per qualche motivo, devono, per un certo periodo della loro vita, vivere in un contesto alternativo a quello tradizionale nella propria famiglia d’origine. E’ un tema delicato perché riguarda tutte quelle persone di minore età che non possono godere del diritto a crescere con propri genitori poiché quest’ultimi, purtroppo, non riescono a svolgere la loro funzione parentale ma, anzi, il loro comportamento nei confronti dei figli è trascurante, a volte maltrattante, altre di vero e proprio abuso psicologico, fisico e sessuale. Non è facile sentir parlare di questi argomenti poiché non è semplice accettare il fatto che un genitore possa rappresentare un pericolo per il proprio figlio.

 

Che cosa accade a un giovane cresciuto in comunità/casa famiglia quando compie 18 anni?
Io fortunatamente quando ho terminato il mio percorso in comunità avevo una casa e una nonna che, se pur molto anziana, rappresentava una presenza importante. Ma ci sono migliaia di ragazzi che non hanno questa fortuna: alcuni non hanno proprio nessuno, altri non rientrerebbero mai dove hanno subìto violenza e abusi, altri ancora rientrano in famiglia ma solamente perché non hanno alternative… Si tratta di quei casi in cui il compimento dei 18 anni non è una festa ma un dramma!
A diciotto anni questi ragazzi sono “grandi per legge“. Questi giovani sono discriminati due volte: sul piano affettivo e sul piano delle opportunità di accesso al mercato del lavoro, perché troppo spesso non hanno la possibilità di portare a termine il proprio percorso scolastico. I dati della disoccupazione giovanile, se per i giovani con una famiglia alle spalle e un “tetto” destano enormi preoccupazioni, per coloro che sono senza famiglia causano gravi ripercussioni per il loro presente e per il loro futuro, già in parte compromesso dai vissuti traumatici e turbolenti della minore età.
In Italia la letteratura psicosociale si è interessata del fenomeno solo recentemente; non essendoci, quindi, studi specifici in grado di descrivere gli esiti e le condizioni dei giovani adulti che escono dalla presa in carico dei servizi per minori occorre fare riferimento a diversi studi internazionali che dimostrano l’alto rischio di esclusione sociale, una volta terminato il percorso residenziale. Una situazione ancora più ingiusta a fronte delle recenti evoluzioni giurisprudenziali in riferimento all’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli: nel 2012 la Corte di Cassazione ha confermato che tale obbligo sussiste anche se il figlio ha superato la maggiore età ma non ha raggiunto una situazione di indipendenza economica per motivi a lui non imputabili (Cassazione, sentenze n. 1773 dell’8 febbraio 2012, n. 2171 del 15 febbraio 2012 e n. 5174 del 30 marzo 2012).
Non esistono invece normative e risorse che garantiscano diritti certi per i giovani che escono dalle strutture di accoglienza per i “fuori famiglia”.

 

Come è nata l’idea dell’associazione “Agevolando”?
Ero a Bologna nel dicembre 2009 ad un seminario durante il quale si parlava di neomaggiorenni “fuori famiglia” e fu proprio quel giorno che, ascoltando la voce di due ragazze ex-ospiti di comunità come me, mi venne l’idea di trasformare le potenzialità che emergevano da quelle parole in qualcosa di più strutturato. Pensai alla possibilità di inventare un’associazione che si occupasse dei bisogni dei giovani care leavers e che, nel farlo, coinvolgesse loro stessi, in un’ottica partecipativa. Rintracciai quelle ragazze e nell’aprile del 2010, ormai cinque anni fa, a Bologna si è costituita l’associazione Agevolando. Tre sono i nostri principali obiettivi: offrire un supporto a giovani adulti che escono dal percorso residenziale; permettere la condivisione delle esperienze personali e favorire il sostegno vicendevole attraverso l’auto mutuo aiuto e la partecipazione; creare una rete di soggetti ed enti tra i portatori di interesse in questo ambito e diffondere una cultura condivisa su questo tema. Pare sia stata una buona idea poiché abbiamo intercettato un bisogno di importanza nazionale e abbiamo dato voce ai ragazzi.

 

Pensi che in Italia si stia facendo abbastanza per la tutela di bambini e ragazzi fuori famiglia?
No, le cose stanno andando male. La crisi del welfare, la riduzione delle risorse agli enti locali, l’aumento della disoccupazione e del disagio sociale stanno causando un consistente peggioramento delle condizioni delle famiglie e dei bambini e, chi già faticava, ora vive una situazione drammatica. I bambini a rischio allontanamento diventano “invisibili” oppure ci si accontenta di interventi di educativa domiciliare. Molte comunità e case famiglia stanno chiudendo ma non perché si sia diventati magicamente esperti di prevenzione…chiudono perché non ci sono le risorse per mettere i bambini e i ragazzi in protezione. Altro problema è la mancanza di una legge nazionale che fissi i parametri e gli standard minimi per tali strutture…ogni regione ha una sua direttiva e c’è il rischio che non siano rispettate le condizioni che assicurano la dimensione familiare e relazionale dell’accoglienza. Accade così che pochi scandali vengano enfatizzati fino al punto da indurre i media a considerare le comunità come dei “lager”. Il risultato? L’ulteriore stigmatizzazione di questi bambini e ragazzi già “etichettati” come “senza famiglia” ora considerati “abbandonati e maltrattati nelle case famiglia”… mentre la realtà è un’altra: la presenza di migliaia di operatori che lavorano quotidianamente mettendoci il cuore, tanto cuore. Per questo abbiamo lanciato insieme ad altre organizzazioni a livello nazionale (CNCA, CNCM, Cismai, Progetto Famiglia, Sos Villaggi dei Bambini) la campagna “#5buoneragioni per accogliere i bambini che vanno protetti”, per raccontare senza pregiudizi e strumentalizzazioni la realtà dell’accoglienza e per formulare proposte e richieste urgenti alle istituzioni competenti.
Occorre più che mai, oggi, una legge nazionale e noi da circa due anni stiamo promuovendo un Disegno di Legge e alcune proposte (tra le altre, attualmente, abbiamo proposto insieme a Fondazione Isperantzia e Terra dei Piccoli ONLUS di inserire all’interno dei decreti attuativi del Jobs Act, dei riferimenti a possibilità di facilitazioni per le aziende nel momento in cui assumono i ragazzi appena usciti da questi percorsi) con l’obiettivo di garantire misure dedicate ai neomaggiorenni che concludono il loro percorso in comunità. Siamo fiduciosi.

 

Silvia Sanchini

 

L’appuntamento con i neomaggiorenni è per venerdì 16 alle ore 21 al centro per le Famiglie

Il dossier neomaggiorenni