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Rimini Social

Rifugiati. Storie ed esperienze di integrazione possibile

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
lun 31 ago 2015 16:32 ~ ultimo agg. 4 set 14:21
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Torniamo a parlare di rifugiati e di storie di integrazione e accoglienza. Lo facciamo a partire dall’esperienza di alcuni operatori dello SPRAR (Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati) e degli stessi beneficiari del progetto nell’ambito delle attività svolte dalla cooperativa sociale “Il Millepiedi”. Attualmente la cooperativa gestisce infatti nell’ambito del progetto SPRAR tre appartamenti a Santarcangelo, Verucchio e Poggio Torriana, per un totale di 12 posti di accoglienza. Oltre all’attività di coordinamento svota da Erica Lanzoni, sono responsabili dei tre appartamenti tre educatori, con diverse competenze.

I tre operatori lavorano in rete sia tra loro che nel territorio concentrandosi nello specifico su alcuni aspetti: assistenza legale, assistenza sanitaria, integrazione sociale. Chiacchierare con loro aiuta davvero a toccare il cuore della questione, a capirne di più.

La funzione dei progetti SPRAR è quella di farti acquisire uno status di protezione”spiega Riccardo Sirri“ma non solo. Il nostro obiettivo è che le persone accolte acquisiscano anche delle competenze attraverso corsi di formazione, tirocini formativi, servizio civile”.

E aggiunge: “Io mi occupo nello specifico dell’aspetto legato ai documenti, questione molto complessa. Non possedere un documento, dover attendere anche molti mesi per una risposta, è uno degli aspetti più difficili da gestire per i beneficiari del progetto. Per loro avere diritti o non averne è molto legato all’idea di possedere un documento, per questo più lunga è l’attesa maggiore è la loro sofferenza”.

Per Gianni Ravegnani, psicologo, “è importante attivarsi per costruire una rete nel territorio che coinvolga non solo gli operatori del settore, ma tutta la cittadinanza. La Moschea riminese ad esempio è per noi un buon punto di riferimento, un luogo dove i ragazzi trovano contatti e opportunità. Spesso il dolore e i traumi che queste persone portano con sé sono talmente grandi che trascorrono anche alcuni mesi prima che siano in grado di raccontarci la loro storia e aprirsi con noi”.

Diverse le fatiche con cui gli operatori devono ogni giorno confrontarsi a partire dai tempi di attesa spesso molto lunghi prima che i richiedenti asilo siano ascoltati dalla Commissione e ottengano una risposta fino all’impossibilità di far lavorare queste persone nei primi 6 mesi di accoglienza. Eppure ci sono anche molte risorse ed opportunità.

Le persone che ho incontrato nell’ambito di questo lavoro hanno una forza di carattere, un coraggio, una determinazione e una grinta che la maggior parte di noi si sognano”racconta Bruno Valeri.

Chiedere asilo significa sancire una chiusura definitiva con il proprio paese di origine, nel quale non potrai più tornare. È un forte atto di coraggio. Le migrazioni oggi sono un dato di fatto, impossibile tornare indietro. L’Europa è un continente bloccato, stanco, in forte difficoltà. L’Unione Europea ogni giorno viene messa in discussione. I flussi migratori possono essere un’occasione di rinascita anche per il Vecchio Continente. Sta a noi vivere questa situazione come un’opportunità”, conclude.

Ikrays e Kawsu

Ikrays e Kawsu sono due ospiti del progetto SPRAR in questo momento. Tutti i mercoledì pomeriggio gli operatori sono a disposizione negli uffici della Cooperativa per incontrarli, ascoltarli, confrontarsi. Così posso approfittare di questo momento per conoscerli anch’io e ascoltare le loro storie. Sono così diversi tra loro, sia per età che per carattere, eppure il destino ha voluto che si ritrovassero a vivere sotto lo stesso tetto.

Ikrays ha 36 anni e viene dalla Somalia. È arrivato in Europa nel 2009 con il desiderio di stabilirsi in Germania o nel Nord Europa ma con i documenti italiani questo non è stato possibile. Ha un carattere sereno e solare che lo ha molto aiutato, vive nell’appartamento di Santarcangelo con Kawsu e un altro ragazzo del Mali, va d’accordo con tutti. Dopo anni di fatiche e peregrinazioni in Europa è tornato a Rimini da 7 mesi e presto inizierà un tirocinio presso il “Forno Romagnolo”. Sta anche frequentando una scuola di italiano per imparare meglio la lingua.

In Somalia avevo paura ogni giorno, la guerra tra etnie non risparmia nessuno. Nel mio paese facevo il pescatore, in Europa ho imparato altri mestieri. Oggi sono contento di essere qui e se guardo al mio futuro sono fiducioso”, racconta Ikrays.

Kawzu è dolce nella sua fragilità e timidissimo. Il suo è un viaggio molto lungo: da Sukuta (nel Gambia) all’Italia. Nel suo paese ha lasciato una famiglia molto numerosa, condizioni di vita e di salute assolutamente precarie. È stato in Sicilia per un anno e tre mesi e oggi è a Santarcangelo. Anche lui sta frequentando un corso di italiano e gli piacerebbe un giorno poter lavorare come elettricista.

Guardando negli occhi e ascoltando le storie di Ikrays e Kawzu mi vengono in mente le parole lette sulle pagine di “Internazionale” qualche settimana fa1, in uno speciale pubblicato in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiat. Scrive il giornalista statunitense Stephan Faris: “Ci sono infiniti ostacoli pratici all’idea che le persone siano libere di spostarsi. Ma gli ostacoli pratici non possono prevalere sugli imperativi morali.

E ancora: “La cittadinanza è un tratto distintivo puramente artificiale. La contingenza della nascita, un cavillo della legge o il capriccio di un burocrate possono fare la differenza tra una vita agiata e una vita di stenti”.

La riflessione su questi temi non può prescindere allora dall’ascolto diretto delle persone la cui esistenza è stata segnata dalla necessità di lasciare tutto per costruirsi un futuro migliore. Persone innocenti, vittime di conflitti i cui responsabili sembrano invece restare sempre impuniti. Ma anche dalla considerazione dell’impegno di chi, ogni giorno, costruisce nei territori percorsi di accoglienza e inclusione. Di chi affronta la questione innanzitutto dal punto di vista umano e morale, che dovrebbe sempre essere prioritario di fronte a qualsiasi considerazione di tipo politico, economico, culturale.

Perché a dispetto degli episodi di violenza e sconti ai quali abbiamo assistito anche recentemente, le storie positive di accoglienza sono molte di più di quello che crediamo.

Silvia Sanchini

1 Internazionale, 19/25 Giugno 2015, n.1107 – anno 22

La prima puntata dell’approfondimento