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Un etto di luoghi comuni?

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
gio 2 lug 2015 19:04 ~ ultimo agg. 3 lug 17:53
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Io non ce l’ho con gli extracomunitari…ma basta. Diamo loro 35 euro al giorno. Li ospitiamo negli alberghi a quattro stelle. E poi il telefonino, il computer… e non sono mai contenti! Ma io dico, è giusto spendere tutti questi soldi per dei clandestini, quando gli italiani fanno fatica ad arrivare alla fine del mese?”.

Et voilà, il lavaggio del cervello è servito. Se anche la signora che incontro tutte le settimane al supermercato ha imparato come in un rosario la litania dei luoghi comuni da sciorinare quando si parla di immigrati, significa che l’annichilimento culturale di cui siamo vittime è ormai irreversibile.

La signora Concetta è una brava donna. Ha superato gli 80 anni, ha lavorato tutta la vita insieme al marito per poter garantire una casa e un aiuto ai suoi figli e ai suoi nipoti.

Vorrei parlare con la signora Concetta di storia e geopolitica. Chiederle di sforzarsi di ricordare se e quanti dei suoi parenti sono partiti agli inizi del ‘900 per l’America o la Svizzera, in cerca di fortuna. Ma potrei anche azzardare una disquisizione più alta e spostare la discussione sul tema del colonialismo, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse, sulle nostre responsabilità nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

Ma potrei anche parlarle di economia. E cercare di spiegare a Concetta, che sicuramente è sempre stata brava a far quadrare i conti del suo bilancio familiare, che gli stranieri che vivono in Italia non ci sottraggono risorse. Semmai ci fanno guadagnare. Basterebbe leggere con attenzione qualche statistica e qualche dato.

Potrei parlare con questa arzilla signora anche di etica cristiana. Lei va a Messa a tutti i giorni, partecipa alle attività della Parrocchia, per qualche anno ha fatto anche la catechista. Per cui non farà fatica a ricordare quante volte le Sacre Scritture ci parlino di ospitalità dello straniero. Di misericordia. Di porte aperte e non chiuse. Di amore per i nostri fratelli, soprattutto per i più piccoli. Sicuramente queste nozioni Concetta le conosce molto meglio di me.

Ma potrei parlarle anche di welfare, di sistema di accoglienza. Di come vengono utilizzati in realtà quei 35 euro di cui tutti parlano. Di quante brave persone ci siano e di quante realtà del terzo settore (associazioni di volontariato, cooperative…) lavorino seriamente per l’accoglienza. Che non tutti sono viscidi e corrotti come nelle storie emerse da quella vergogna che è “Mafia capitale”.

Mentre si fa affettare un etto di prosciutto e sceglie il formaggio da mettere in tavola questa sera, intorno a Concetta si forma un capannello di persone. Anche loro hanno tutta una serie di luoghi comuni e pregiudizi da impugnare come verità assolute. Anche loro commentano con fastidio la situazione attuale, inveiscono contro il “vu cumprà” che non li lascia in pace un secondo nemmeno al mare. E mentre pensano a riempirsi le pance, commentano con disprezzo le vite di chi di fame e di sete rischia ogni giorno di morire.

Anche con loro vorrei fermarmi a parlare un poco. Leggere i dati sull’evasione fiscale in Italia, e in particolare nella provincia di Rimini. Commentare con lo stesso disprezzo le scelte di tanti uomini (quasi sempre sposati e con un buon lavoro) che alimentano il mercato del turismo sessuale e dello sfruttamento della prostituzione, anche minorile. Parlare di infiltrazioni e connivenze mafiose. Di quanto sia doloroso essere discriminati ed emarginati.

Ma so che non ne varrebbe la pena. Qualunque cosa possa dire non farà cambiare loro idea.

C’è una cosa di cui mi piacerebbe però parlare con Concetta e con gli altri. Anzi, una cosa che mi piacerebbe fare insieme a loro. Mi piacerebbe accompagnarli a casa di Ahmed, sedersi al tavolo con lui, prendere un caffè e farsi raccontare la sua storia. Mi piacerebbe che lo guardassero negli occhi quando racconta della famiglia lontana, dei figli che forse non rivedrà più, del dolore e della paura che hanno attraversato la sua esistenza. Di un paese che ama, ma dove non potrà più tornare. Mi piacerebbe che incontrassero Mustafa, che è poco più che maggiorenne, e che deve cavarsela da solo lontano dal suo paese e dai suoi affetti. Mi piacerebbe che raccontasse loro del suo viaggio. Del mese che ha trascorso nel deserto. Degli abusi e delle violenze che ha subito quando era solo un bambino. Di quando ha rischiato di morire per un’intossicazione perché sulla nave che lo ha portato in Italia gli hanno dato da mangiare del pesce avariato.

Ma ormai è tardi. Mentre la mia mente è affollata da questi pensieri, Concetta ha già finito la sua spesa ed è in fila alla cassa per pagare. Forse mentre tornerà a casa, Ahmed le cederà il posto sull’autobus. Forse i pomodori che mangerà stasera, li avrà raccolti Mustafa, lavorando per tante ore al giorno sotto al sole per poco più di qualche spicciolo.

Ma Concetta continuerà a struggersi per le ingiustizie che crede di subire. Perché è più facile trovare un nemico che guardarsi dentro o intorno e cercare, davvero, di capire.

Silvia Sanchini

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