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I fratelli Quartozzi, l’ufficio tecnico della cooperativa il millepiedi

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
gio 20 nov 2014 10:14
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Improbabili fratelli,Eugenio e Ludovico, sono gli uomini“tuttofare” della cooperativa il Millepiedi, uno nato nel …. e l’altro nel….figli di due famiglie assolutamente distinte e che mai si sono incontrate; le rispettive madri mai avrebbero pensato che i due neonati si sarebbero poi incontrati in un lontano futuroper divenire come fratelli.

 

Già i loro nomi, Eugenio e Ludovico,hanno qualcosa di improbabile, di arcano o forse di romantico.
Fanno risuonare nell’animo un’emozione simile alla malinconia di un passato in bianco e nero, evocano immagini di fotografie ingiallite coi bordi rovinati di gente in bicicletta su strade bianche e polverose, gente baffuta con cappello e giacca le mani infilate nel gilet a sfidare l’obiettivo del fotografo con l’orgoglio di chi sa di fare un lavoro duro ma nobile, malinconia di tempo lento a scorrere, pregno di umanità, gente pratica volta alle cose essenziali dell’esistenza, pochi frivoli, molti calli sulle mani.
I fratelli Quartozzi e il porter bianco sono il neurone della cooperativa: i servizi alla periferia, gli arti della cooperativa, inviano un segnale di aiuto, una richiesta di soccorso: l’erba ha inghiottito una maestra, i genitori vogliono disinfestare, disinfettare, lubrificare e deumidificare lo scivolo di plastica dell’asilo, c’è uno steccato da steccare o una lampadina da sostituire, un quadro da appendere e un mobile da riadattare, la richiesta arriva al cervello della cooperativa che prontamente invia il magico duo in soccorso degli “arti feriti”.

 

Indossano le scarpe antinfortunistica e la tuta blu, quella tipo salopè , con le bretelle e la tasca sul petto, Eugenio non fa proprio schifo con quella divisa, Ludovico “un’s’po’ guardè”.
Oddio non che siano degli adoni tutti e due (l’ho detto che sono belli dentro? No? Lo dirò tra un po’…) ma Ludovico vuoi per la postura similgobbo di Notre Dame, vuoi per la faccia da Goblin (quello che tira le bombe a Spiderman), vuoi per la bretella che scivola continuamente giù dalla spallaacollodibottiglia, vuoi per lo sguardo fisso del miope che si intravede attraverso due fondi di bottiglia, diciamo che … dai…
Eugenio… dì Eugenio ha sposato una gran bella donna, pure intelligente…qualcosa ci avrà trovato…
Salgono sul Porter Piaggio bianco, Eugenio alla guida e Ludovico che solleva l’indice nodoso e chiede se può bere un caffè.
All’interno del minuscolo abitacolo sembrano proprio due gemelli, il Porter la placenta metallica, a vederli schiacciati, stretti stretti nel minuscolo abitacolo sembra di vedere una morfologica in treddi.
Sul cassone del piccolo mezzo si può trovare di tutto, dipende da cosa devono fare quel giorno i fratelli Quartozzi; li si vede sfrecciare sulla statale e poi su per le colline riminesi oppure in pieno centro storico con scale, armadi, tavoli, castelli e scivoli in plastica, sedie, panche e sgabelli, trattorino taglia erba, taniche di benzina, latte di olio, faldoni e cartoni, mobili Ikea smontati e non.

 

Eugenio riesce a stipare sul Porter Piaggio un numero incredibile di oggetti, attrezzi, strumenti, a volte animali, tutto quello che occorre ai servizi della cooperativa sparsi sul territorio. Issa, lega, sposta spinge, lega di nuovo, solleva, sposta, incastra. Ludovico chiede se può comprare un fumetto puntando un indice al cielo.
Sono belli i fratelli Quartozzi, non belli nel senso estetico, ma belli dentro (visto? L’ho detto) nel profondo, fanno bene al modo solo a vederli, sono il vento di primavera che ossigena i polmoni e ti spinge a gonfiarti come una mongolfiera, sono una brezza che rinfresca e allegerisce lo spirito.
E così la metà dei fratelli Dalton si reca ogni giorno in un luogo diverso per soccorre infanti o puerpere, adolescenti o educatori professionali… ed ogni volta è subito magia.

 

Eugenio che si tira una martellata da dio del tuono su un dito nel tentativo di sistemare una vecchia staccionata di un asilo, ma non volano santi e madonne, perché Eugenio è educato e poi ci sono i bambini che osservano divertiti, quello che si sente è la risata travolgente roca e gutturale di Ludovico che sottolinea puntuale ogni più piccolo incidente.
Eugenio ulula, sibila, fischia, saltella si afferra la mano dolorante, il volto che si arroventa per trattenere la necessaria sublimazione del dolore in urla sguaiate e bestemmie colorate, gli occhiali si appannano,Ludovico identico sforzo fisico, ma per la ragione opposta eppur concatenata alla martellata; empaticamente comincia il suo rito di catarsi del dolore altrui, sfregale dita di entrambe le mani sul naso gibbuto facendo sussultare gli occhiali verdi, quasi volesse accenderlo per sfregamento, la risata rauca incalza, il corpo si piega, il viso è paonazzo, la sincope prossima.
Due indiani che danzano per avere un po’ di pioggia.

 

Se la smettesse di ridere e di piangere dal divertimento Ludovico potrebbe sembrare che stia pregando, come gli ebrei al muro del pianto che ondeggiano e mormorano, lui ondeggia sghignazza (e usura il suo naso con strofinamenti compulsivi) davanti al muto pianto di Eugenio… non è poesia questa?
Non avvertite qualcosa di felliniano in tutto ciò? Non è questa una scena memorabile? E se allargassimo l’inquadratura e nella visuale comparissero venti, trenta bambini assolutamente in estasi e felici di quello spettacolo, che ridono, saltano alcuni cadono e ridono ancora, non si sa se più per le mosse di Eugenio o quelle di Ludovico, e se ci aggiungessimo anche le maestre colte da irrefrenabile allegria e crisi di risa argentine?
I fratelli Quartozzi portano un carico di valore aggiunto di difficile classificazione, non eseguono solo lavori e riparazioni, non rimediano solo a sviste o dipingono stanze, i Quartozzibrother’s elargiscono speranza, portano veracità, portano allegria, urlano non dicendolo che in un altro modo si può fare, a pensarci bene portano un bel po’ di cose… Eugenio porta anche molta pazienza.

 

Roberto Vignali

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