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Yilmaz Orkan a Rimini parla di Kurdistan, Kobane e Rojava

di Stefano Rossini   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
ven 24 ott 2014 13:52 ~ ultimo agg. 10 ott 17:08
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Yilmaz Orkan è membro del congresso nazionale del Kurdistan e portavoce dell’associazione Uiki – Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia. Lo scorso mercoledì 22 ottobre è stato a Rimini, ospite di Casa Madiba per parlare della situazione in Kurdistan e della battaglia di Kobane, la città al confine tra Siria e Turchia assediata dalle truppe del sedicente stato islamico da quasi 40 giorni.

Lo abbiamo intervistato per cercare di fare chiarezza su una regione chiave del medio oriente, Rojava, Kurdistan occidentale, in cui dal 2011 si sta svolgendo un esperimento di confederalismo autonomo e democrazia diretta in grado di andare oltre le differenze di etnia, genere e religione.

 

Yilmaz, cosa sta succedendo a Kobane e nel Rojava?
Isis sta cercando di occupare Kobane. La città resiste da 37 giorni grazie ai combattenti curdi e ai cittadini di Kobane. Isis uccide e taglia la gola, non ha un’ideologia umanitaria, invece Kobane fa parte dell’autonomia democratica di Rojava, nata il 19 luglio 2012, all’indomani della rivoluzione Siriana, come esperimento di un nuovo sistema democratico per la Siria e anche per tutto il Medio oriente. L’idea è che tutte le persone possano vivere assieme, in un unico paese. Ad esempio in altre città del Rojava, come Cizire, la maggioranza della popolazione è curda, ma vivono anche arabi e si parlano tre lingua, tra cui quella assira. Sono tante le minoranze religiose presenti. Anche in Afrin e Kobane, le persone vivono liberamente la loro identità culturale, etnica e anche religiosa. Le donne hanno un ruolo molto importante.

Qual è l’atteggiamento della comunità internazionale?
Possiamo dire prima di tutto che i popoli occidentali e il medio oriente hanno appoggiato la resistenza di Kobane e il progetto di Rojava. Però sia le Nazioni Unite, che il mondo arabo e anche l’Europa ancora non hanno fatto cose concrete per Kobane. In tanti temono che fare concessioni o aiuti per Kobane sarebbe un riconoscimento per l’autonomia politica di Rojava.

Dall’altra parte, però le armi usate da Isis sono quelle che gli americani hanno lasciato per l’esercito iracheno in Iraq. Quando Isis ha occupato Mosul e altre città sunnite, ha preso subito le armi e con queste ha attaccato il Kurdistan Iracheno, tra cui Kirkuk. Quelle armi che l’occidente ha messo in medio oriente andavano tolte, ora sono nelle mani di Isis.

Da giorni gli amministratori della città di Kobane e altri dirigenti chiedono un corridoio umanitario per Kobane. La comunità internazionale non ha fatto niente per ora. Gli americani hanno mandato 27 pacchi di cibo e medicinali che sono stati portati in kobane, ma oltre questo kobane non ha ricevuto aiuto. La Turchia ancora non ha fatto corridoio per fare entrare i Peshmerga. [è di ieri la notizia che la Turchi, pur riluttante, ha permesso il passaggio di alcuni guerrieri curdi per aiutare Kobane ndR]. Molti criticano i comportamenti turchi verso kobane. I governanti di Kobane spesso dicono che la Turchia abbia appoggiato Isis, e comunque la Turchia blocca tutti gli aiuti e i passaggi. [i combattenti di Kobane sono considerati da Ankara alla stregua di terroristi per i loro legami con il PKK di Ocalan ndR].

Perché le Nazioni Unite dopo 37 giorni di conflitto non ci aiutano? Perché non dicono che la Turchia finanzia e appoggia Isis, insieme ad altri paesi del golfo come Qatar e Arabia Saudita? Se la comunità internazionale può fermare questi appoggi all’Isis allora i curdi ce la possono fare, dato che da soli resistono da 37 giorni in una piccola città come Kobane. Se finisce quel finanziamento e quell’appoggio allora sarà possibile fermare Isis.

Durante questa giornata a Rimini hai incontrato anche persone dell’amministrazione comunale, cosa è emerso?
Per lavorare con la società civile, gli istituti e gli enti serve sicuramente più tempo. Oggi abbiamo parlato con l’Assessore Sara Visintin. Per l’autonomia di Kobane e del Rojava serve il riconoscimento internazionale. Se le Nazioni Unite o il consiglio europeo riconoscono Rojava come autonomia, aiutare sarebbe più facile. Abbiamo fatto un discorso se sia possibile creare una rete con alcuni comuni qui vicino e altre province in Emilia Romagna, con la società civile. Anche per questo abbiamo organizzato il seminario di questa sera a casa Madiba: insieme si può creare una rete, non solo per oggi, ma per il futuro.