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Parole come sassi

di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
ven 31 ott 2014 14:47 ~ ultimo agg. 4 nov 17:33
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“Le tue parole sono mine…” canta Cesare Cremonini. È vero, e tante volte non ci accorgiamo, di quanto le parole possano far male.
Sono certa che è capitato a tutti di utilizzare con assoluta leggerezza espressioni apparentemente innocenti come: “Sembri proprio autistico…”, “Ma sei mongolo?”, “Non fare l’handicappato…”. E via dicendo.
Termini entrati nel linguaggio comune, usati a volte quasi scherzosamente, altre volte volutamente per offendere.

 

Qualche sera fa dal mio profilo Facebook mi sono imbattuta nei commenti di alcuni genitori, che fanno parte del gruppo “Io ho una persona con autismo in famiglia”. Commentavano con dolore e rabbia un’altra pagina Facebook che derideva in maniera poco elegante una ragazza affibbiandole l’epiteto di autistica.
Leggendo il dispiacere e l’indignazione di quei genitori mi sono sentita male per tutte le volte in cui scegliamo (io per prima) con totale superficialità le parole che usiamo, dimenticandoci del potere che le parole stesse possono avere e di quanto termini che di per sé non hanno certo una connotazione offensiva possano diventare veri e propri insulti, lame taglienti, mine esplosive…quando utilizzati in maniera distorta.
Decidere se utilizzare o meno una determinata parola non è solo un esercizio formale o un atto retorico di buonismo, ma una scelta sostanziale.

 

L’ironia e l’umorismo sono di vitale importanza anche quando si ha a che fare con la disabilità (e i genitori lo sanno bene), non si sta qui facendo un elogio della seriosità ma evidenziando alcuni confini che sarebbe importante non valicare mai.
A questo proposito, in questi giorni, alcuni media tra cui Avvenire, Famiglia Cristiana, la Federazione italiana settimanali cattolici e l’Agenzia Armando Testa hanno lanciato la campagna “Migliorisipuò, insieme contro la discriminazione”. A Rimini anche il Settimanale Il Ponte ha aderito. Il messaggio è molto chiaro: anche le parole possono uccidere, trafiggere (come i volti scelti ad immagine dei manifesti), per questo occorre un’opera di informazione per superare i pregiudizi e costruire una società più sensibile e attenta.

 

Sempre in questi giorni il giornalista Luca Pagliari ha presentato agli studenti riminesi lo spettacolo “Link-storie di vita online”, che racconta una storia di cyber-bullismo (). Pagliari ha più volte ricordato ai ragazzi che anche un “mi piace” di troppo su Facebook o una parola scritta sul web possono distruggere, ferire, finanche uccidere (come è successo al giovane romano, Andrea Spezzacatena).
Una parola scritta lascia il segno, non si cancella, rimane per sempre…e questo vale soprattutto per tutte quelle volte in cui ci sentiamo forti, perché ci nascondiamo dietro a uno schermo di un pc.
Perché, citando il film Palombella Rossa di Nanni Moretti: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti!”.

 

Silvia Sanchini