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Dossier mafia a Rimini: Economia drogata

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ven 31 mag 2013 12:06 ~ ultimo agg. 00:00
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Droga, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione: business illegali che movimentano grandi quantità di denaro. E’ dietro queste attività che nel centro-nord, Rimini compresa, si nascondono organizzazioni di stampo mafioso. Lo dice il report stilato da Libera per la Regione Emilia Romagna. Le modalità di infiltrazione sono molteplici e variegate: dagli appalti pubblici (al ribasso) all’apertura di attività e realizzazione di appartamenti

Multiculturalismo mafioso. Non si potrebbe che definire così il panorama criminale dell’opulenta Italia del nord, Emilia Romagna compresa. Rimini compresa. L’allarmismo che nell’ultimo quinquennio si è respirato in questi territori ha lasciato spazio ai numeri delle operazioni della Guardia di finanza e delle varie direzioni investigative antimafia (Dia) che si dislocano sull’intero stivale. Nessun confine qui. Le Dia italiane indagano oltrepassando i confini territoriali e il loro dinamismo è lì a testimoniare come le organizzazioni criminali ci abbiano messo un attimo a lasciare la loro casa per andare a fare affari fuori zona. La moderna emigrazione, il moderno sacco sociale del Mezzogiorno non è più fatto di braccia, di operai che si dirigono verso la Fiat di Torino e l’industria milanese, ma è fatta di banconote, di immateriale denaro, ma anche di affari, di lavori, di appalti. L’emigrazione non è più “poveraccia” ma imprenditoriale.

Perché multiculturalismo mafioso?
Qui le mafie convivono. Si spartiscono la torta, vivono e convivono anche con le organizzazioni transnazionali, creando un equilibrio stabile, frutto di un bilanciamento di interessi. “È solo business” recitava nella sua più famosa battuta il don più conosciuto della storia cinematografica, il don Corleone e Il padrino di Coppola. Fumo negli occhi l’assenza di violenza sui territori? Sicuramente. La pace fa fare affari. Nella relazione del primo semestre del 2008 la Direzione Investigativa Antimafia si cita la presenza della ‘Ndrangheta in molte province dell’Emilia Romagna, Parma, Piacenza ma anche Rimini: “Ove pure operano cellule di cosche crotonesi e reggine attirate dai mercati locali del gioco d’azzardo e del traffico di stupefacenti”. Anche se ciò che preoccupa di più la Dda è il pericolo di infiltrazione di cellule criminali nel tessuto economico regionale. Affermazioni che sono state confermate e discusse nell’ambito di un altro importante documento, il report realizzato da Libera (con il sostegno della Regione) concentrato proprio sull’Emilia Romagna. Numeri, considerazioni e valutazioni che nascono da un’associazione che dell’antimafia ha fatto la sua ragione di vivere ma che ha visto nella partnership della Regione una novità interessante.

Rimini, altro che anticorpi…
“Sino a qualche anno fa, quando un magistrato o qualcun altro parlava di mafia in Emilia Romagna – ricorda Pier Giorgio Morosini, cattolichino e giudice delle indagini preliminari a Palermo – c’era sempre il politico di turno che diceva che quelle affermazioni erano azzardate e che avrebbero portato cattiva pubblicità in un territorio a vocazione turistica qual è il nostro”. Tutto vero, ma adesso la Regione Emilia Romagna promuove uno studio a tutto tondo sui fenomeni criminali presenti sul suo territorio. Segno che qualcosa è cambiato? Sicuramente alcune cose sono diventate più evidenti. Gli ultimi dieci, e più intensamente cinque anni hanno portato alla luce fenomeni che sino a questo momento erano nascosti. Il dossier di Libera ne parla apertamente. Zone come Reggio Emilia, ma anche Parma, sono state palesemente vittime del prosciugamento e insediamento di talune famiglie criminali, ‘ndranghetiste in particolare. Ma anche Rimini ha avuto le sue belle docce fredde, vedi l’operazione Vulcano (vedi pezzo più avanti).
I fatti sono venuti alla luce e gli emiliano-romagnoli ne sono stati protagonisti, spesso vittime. Ci si è a lungo raccontati la favoletta degli anticorpi sociali, della società capace di denunciare, di non essere omertosa, di tirare su la testa ed evitare il peggio, ma le cose si sono rivelate più difficili di quanto ci si potesse aspettare. Ci si aspettava che le mafie portassero violenza, e invece non c’è stata evidente violenza. Ci si aspettava che i territori pervasi dalle mafie fossero territori palesemente degradati, così come ci arrivano le immagini dei quartieri di Palermo o di Napoli e i nostri hanno continuato ad avere zone verdi, oltre a diversi metri cubi di cemento in costruzione. Ci si aspettava che le attività criminali fossero visibili, che gli uomini di mafia fossero riconoscibili e invece si sono nascosti in una nebulosa zona grigia che ha, più o meno consapevolmente con più o meno colpe e connivenze, ingannato e depistato.?Sono stati gli stessi boss a spiegare il modo in cui operavano. Molte intercettazioni, di uomini d’affari “moderni”, hanno reso palesi conversazioni tra capi e gregari, tra il centro e le periferie?criminali che, in poche parole, spiegavano una strategia vincente: “un fari scusciu”, non fare rumore. Il silenzio per fare affari è il miglior alleato immaginabile. “Droga, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione: business illegali che movimentano grandi quantità di denaro, dietro alle quali, in?ultima battuta e dopo aver escluso la filiera della manovalanza, non possono che nascondersi organizzazioni di stampo mafioso” si legge nel report.

Immense moldi di denaro
Seppure questa regione abbia delle caratteristiche differenti rispetto alle più pervase Lombardia e Piemonte non si è più potuto negare che i mercati illegali siano pienamente controllati dalle organizzazioni criminali. Questo era immaginabile, a tratti accettato e consolidato come fatto. Sino a qui ci si muoveva nel territorio dell’illecito, quello che meno si è riuscito a comprendere, e vedere, è stato il sistema di narcotizzazione dell’economia legale. L’economia è stata letteralmente drogata, devastata nei suoi naturali processi da imponenti moli di denaro che le organizzazioni criminali hanno messo sul piatto della bilancia. Il discorso qui diventa complesso, le modalità di infiltrazioni economiche sono molteplici e variegate, la fantasia di certo non manca. Si parla di usura, ma non di usura semplice bensì di un sistema di strozzinaggio che ti porta a cedere l’azienda. Si parla della possibilità di accedere ad un appalto pubblico giocando al gioco del ribasso del prezzo perché si hanno a disposizione grandi somme di denaro e perché quel lavoro diventerebbe pretesto per lavare i soldi sporchi, derivanti dai traffici illeciti. Si parla, poi, di aprire attività o realizzare appartamenti grazie a quei soldi ripuliti. Insomma si parla di un’economia completamente drogata, come dicevamo. In quest’ottica, nell’ottica del “è solo business” questi territori non possono che apparire delle isole felici per i criminali. Qui si ricicla che è una meraviglia grazie alla possibilità di fatturare, come ci hanno insegnato in matematica “al limite dell’infinito”, attraverso i locali da ballo e le attività turistiche. E poi si possono prendere appalti, si possono costruire appartamenti e aziende senza che queste sembrino delle cattedrali nel deserto come invece sembrerebbero se i territori fossero quelli degradati del sud ai quali accennavamo in precedenza. Una vena d’oro, l’Emilia Romagna. “Una sorta di speciale attitudine a guidare sofisticate manovre di infiltrazione economica e mimetizzazione sociale, realizzate talvolta mediante il ricorso all’estorsione e all’usura, ma più spesso attraverso l’azione di proprie espressioni imprenditoriali fiduciarie (soprattutto nel mercato delle opere pubbliche e, in genere, dell’edilizia) ovvero la gestione di complesse operazioni di reinvestimento speculativo di capitali di origine delittuosa”. Non a caso tre dei cinque beni confiscati alla criminalità organizzata a Rimini sono aziende. Non a caso sei mesi fa il Sole 24 ore, nel pubblicare un rapporto redatto dai funzionari di polizia italiana, giungeva alla conclusione che in una città come Rimini si ricicla più che a Palermo. Nessun caso. “E’ solo business”.

Focus riciclaggio

Operazioni sospette, cresce la guardia

Secondo i dati dell’Unità di informazione finanziaria, la struttura di Banca d’Italia deputata a ricevere e analizzare agli organi investigativi operazioni sospette, Rimini è passata in due anni da 93 a oltre 400 segnalazioni. Appena 18 però quelle provenienti da professionisti e operatori economici

Il primo gennaio 2008 viene istituita presso la Banca d’Italia l’Unità di informazione finanziaria (Uif), struttura nazionale incaricata di ricevere, analizzare e comunicare agli organi investigativi le informazioni che riguardano ipotesi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Tra i compiti dell’Unità: l’approfondimento finanziario, anche mediante ispezioni e segnalazioni di operazioni sospette. Quelle operazioni, cioè, sulle quali è ipotizzabile un’attività di riciclaggio. A fornire le segnalazioni sono gli istituti bancari, le Poste, gli intermediari finanziari, ma anche professionisti e operatori non finanziari. Il punto è che da queste figure, nello specifico, vengono prodotte poche segnalazioni e nella maggior parte dei casi di scarsa utilità. È questo un nodo ampiamente discusso nell’ultimo anno: il ruolo dei professionisti.
I numeri che indica l’ex governatore della Banca d’Italia Mario Draghi alla Commissione antimafia, sono allarmanti. L’Emilia Romagna ha inviato il 6,4% di segnalazioni sospette nel 2007, il 7% nel 2008, e il 6,9% nel primo semestre del 2009. La Regione, così, si posiziona al quinto posto della classifica nazionale delle operazioni “grigie”. Per quel che riguarda il primo semestre del 2011 si registrano 1.250 segnalazioni sospette che provengono principalmente da istituti bancari e dalle Poste. Il report realizzato da Libera riporta alcune considerazioni fatte dalla Uif, che ben mettono in luce le crucialità del caso: “Le segnalazioni dei professionisti e degli altri operatori economici non finanziari sono state appena 18, oltre la metà delle quali effettuate da notai. La dinamica più significativa fra il 2008 e il 2010 è evidenziata dalle province di Rimini e di Modena, che hanno visto rispettivamente quadruplicarsi e triplicarsi le segnalazioni”.

Rimini è passata dalle 93 segnalazioni sospette del 2008, alle 436 del 2010, il 17% di quelle realizzate in regione, preceduta solo da Bologna con il 21%. Di tutti questi numeri quello che intristisce un po’ sono le 18 segnalazioni di professionisti e degli altri operatori economici. Nessuna accusa. Certo è che molto spesso le operazioni investigative hanno messo in luce il ruolo cruciale che hanno avuto queste figure: avvocati, notai, commercialisti. E noi siamo fermi a 18.
Bruno Piccioni, Presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Rimini, ha la sua risposta a quella che sembra un’anomalia. “Fatico a pensare che un malavitoso faccia ricorso ad un commercialista del posto. Credo siano persone che fanno grandi affari e che sicuramente avranno i loro, di commercialisti. E poi noi non sappiamo cosa un commercialista faccia nel suo ufficio, e quante segnalazioni faccia. I dati della Uif sono generici in tal senso”. La guardia è comunque alta. Lo scorso anno lo stesso Ordine organizzò un convegno dedicato a questi temi, spiegando non solo cosa si dovesse fare in caso sorgesse un dubbio sulla natura di una transazione ma specificando anche il rischio che si potrebbe correre ad infilarsi in un affare malavitoso. “Il 60% dei nostri iscritti – continua il presidente – ha meno di 40 anni. Sono giovani, il rischio che vengano attirati dai soldi facili può esserci, ma io ricordo sempre loro che i pericoli sono tanti, per loro, per le loro famiglie. Io ho sempre sentito dire che da certi contesti si esce solo in orizzontale”.
Secondo Piccioni, quindi i commercialisti tengono bene gli occhi aperti, soprattutto nei casi di passaggi di proprietà.

Recentemente anche il Comando provinciale della Guardia di finanza di Rimini ha diffuso dati interessanti rispetto al riciclaggio di denaro. Nel 2011 sono state arrestate 15 persone e sequestrati 30.600 euro mentre la quota di riciclaggio accertato si aggira intorno ai 3,4 milioni di euro. Un mare di denaro e un balzo, rispetto al 2010, impressionante se si pensa che in quell’anno alla voce “riciclaggio accertato” il contatore si fermava ad appena 220 mila euro e 8 persone denunciate contro le 123 di quest’anno. Non saranno tutti soldi mafiosi ma più di una pulce deve saltare all’orecchio. Lo stesso comandante provinciale Mario Vanceslai ha dichiarato che “c’è una grossissima componente di persone che soggiornano in provincia e che vivono di espedienti o collegamenti ad associazioni criminali. Con Polizia e Carabinieri stiamo mettendo in campo un progetto mirato”.

L’antimafia a Rimini

“Sulla riviera vigila costantemente un procuratore distrettuale antimafia” ha rivelato il questore riminese Oreste Capocasa di recente, nel corso di un’incontro pubblico. Gli occhi sono puntati quindi. Da quando il “Vulcano” è esploso non solo parte della società civile, ma anche diverse amministrazioni hanno aperto gli occhi rispetto alla possibilità di essere “infiltrati” a casa propria.
In merito Libera scrive che: “A Rimini e provincia le cosche calabresi, per lo più quelle originarie del crotonese e del reggino, sono particolarmente attive nei mercati legali del gioco d’azzardo, e in quelli illegali del traffico di stupefacenti. Presenti anche i casalesi, di cui va registrato l’arresto nel 2009 del figlio del boss Francesco Schiavone proprio in provincia di Rimini. Tuttavia, di fronte all’avanzata mafiosa si assiste a un positivo fermento. Culturale, sociale, associativo, ma anche politico”.
È neonato, infatti, l’Osservatorio provinciale per monitorare la minaccia mafiosa. Proposta avanzata da numerose associazioni e raccolta dalle istituzioni provinciali e locali.
Sfruttato il bando della Regione per la promozione attiva della legalità, la Provincia con la partecipazione della Prefettura di Rimini, della Questura, dei Comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, dei Comuni, ma anche delle associazioni, dei sindacati e della Camera di Commercio di Rimini ha costituito quest’occhio di vigilanza. Tra i primi ad aderire al progetto,
i Comuni di Cattolica, Bellaria, Rimini e Riccione. L’Osservatorio sarà gestito dalla Provincia di Rimini, anche tramite un sito internet dedicato, in modo da far confluire le banche dati possedute dai vari enti. “Un progetto interessante, che nasce anche dall’importante spinta dal basso. Associazioni di volontariato e di categoria per prime hanno avanzato la richiesta di un intervento, ampio, per monitorare la presenza delle mafie nel riminese” commenta Libera.

Angela de Rubeis
da Tutto Rimini Economia – gennaio 2012

La Carovana antimafia a Riccione