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Rimini

L'intervento di Luciano Chicchi all'assemblea dei soci Fondazione Carim

In foto: Luciano Chicchi, membro della Fondazione Carim e presidente della stessa fino al 2008, in merito al dibattito degli ultimi giorni sulla gestione della Fondazione invia il testo integrale del discorso da lui tenuto all'assemblea dei soci del 14 aprile scorso.
Luciano Chicchi, membro della Fondazione Carim e presidente della stessa fino al 2008, in merito al dibattito degli ultimi giorni sulla gestione della Fondazione invia il testo integrale del discorso da lui tenuto all'assemblea dei soci del 14 aprile scorso.
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mer 21 apr 2010 16:11 ~ ultimo agg. 00:00
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Da un lato, spiega Chicchi, perché possa essere utile a ristabilire la verità sul contenuto di tale intervento; dall’altro per “il desiderio di evidenziare il senso e lo stile che da sempre hanno contraddistinto il suo impegno per il bene della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e, quindi, del territorio”.

L’intervento di Chicchi:

Assemblea dei Soci della Fondazione del 14 aprile 2010

Prendo la parola per ringraziare tutti quei soci che personalmente, in queste settimane, hanno voluto esprimermi la loro solidarietà, mentre le pagine dei giornali locali erano piene di attacchi e accuse pesanti e del tutto ingiustificate nei miei confronti.

Non ho mai replicato, né ho voluto scendere in polemica, anche perché trovo molto grave e sbagliato parlare attraverso la stampa, trascinando la Fondazione – e quindi la reputazione di tutta la nostra Assemblea – ad un livello così basso da lederne pubblicamente l’immagine e la dignità.

Su una cosa, però, non posso tacere. Sono socio di questa Assemblea dal 1987, è sempre stato un onore, per me, far parte di questa compagine, nello spirito di servizio dei soci fondatori del 1840. In tutti questi anni non mi sono mai sentito in mezzo a uomini privi di etica, di moralità o di professionalità, anche perché altrimenti questa Fondazione non sarebbe potuta diventare quel soggetto credibile e autorevole che tutti invece, nell’ultimo decennio, hanno riconosciuto essere.

Non posso permettere a nessuno di gettare ombre, come è stato ignobilmente fatto, sul mio onore, sulla mia moralità, sul mio senso etico. Sono illazioni che rimando al mittente, assieme al risibile tentativo di catalogarmi dentro categorie come ‘lobby di potere’, ‘casta’, ‘complotto’ ed altre simili che ho letto sui giornali. Chiunque conosca un po’ la Fondazione e gli uomini che vi hanno operato sa bene che si tratta, senza mezzi termini, di spazzatura.

Ma, ripeto, non ho voluto – e non voglio – replicare ai tanti veleni sparsi contro di me, per due semplici motivi.

Anzitutto, perché io non mi sento, e non sono, una controparte di nessuno.

In secondo luogo, perchè credo che per me parlino i fatti, la mia stessa storia, umana e professionale.

Penso che nessuno meglio di voi, che siete membri di questa Assemblea, conosca bene il mio modo di pensare e di agire. Sono stato Presidente della Fondazione per 15 anni, l’ho vista nascere e l’ho vista crescere fino a diventare un soggetto importante e centrale di tutta l’area riminese, forse il più prestigioso, sicuramente uno tra i più attenti alle esigenze e ai bisogni della nostra comunità e, più in generale, al bene comune.

Ho sempre spiegato con chiarezza le linee strategiche che sembrava opportuno perseguire, ho sempre motivato ogni scelta, insieme abbiamo condiviso e affrontato battaglie decisive per la libertà e l’autonomia di questa Assemblea e della Fondazione.

Qualcuno, negli anni passati, mi rimproverava di essere troppo incline alla mediazione, può darsi che avesse qualche ragione, ma io ho sempre cercato di fare sintesi nel pieno rispetto – ed anzi, nella valorizzazione – delle diverse visioni culturali e delle diverse anime che sono rappresentate negli organismi della Fondazione e in primo luogo in questa Assemblea.

Ritengo che proprio questa possibilità di libero confronto di idee differenti, ciascuna con la propria positività, sia stato l’elemento che più ha consentito lo sviluppo della Fondazione e del suo ruolo in questi anni.

In fondo, se ci pensiamo bene, la Fondazione è sempre stata un laboratorio rappresentativo di tutta la collettività locale, l’alveo in cui hanno convissuto pressochè tutte le componenti attive della città e della provincia: le varie visioni ideali, il sistema delle imprese e quello dei servizi, il mondo delle professioni e quello delle associazioni culturali e del volontariato, fino alle componenti pubbliche entrate a far parte del nuovo organo di indirizzo dopo la riforma Ciampi.

Dunque, un caleidoscopio ricco di colori e di sfumature, una sorta di specchio nel quale tutta la città poteva in qualche modo riconoscersi e operare insieme per uno scopo alto e importante.

Mi chiedo: questa esperienza così particolare e a suo modo innovativa dà fastidio a qualcuno? Ho sentito, anche in interventi fatti in questa Assemblea – penso ad esempio al Prof. Serra – taluni accenti fortemente critici, quasi che dovessero essere considerate legittime soltanto le posizioni di qualcuno e non quelle di tutti.

Come ricordavo alcuni anni fa al socio Ramberti, sono sempre molto preoccupato quando sento dire che la democrazia è la democrazia di ‘qualcuno’, siano essi partiti o persone. La democrazia è la democrazia della società civile, di quel mondo ricco e articolato che costituisce l’anima di una comunità, di cui anche lo stesso assetto democratico è un risultato. Bisogna stare attenti a non lasciarsi suggestionare da quella cultura che pone lo Stato – oppure, all’opposto, il Mercato – prima e al di sopra del cittadino. La democrazia vive, si alimenta e trova forza in quel dinamismo continuo che è la società civile, in quella linfa vitale che anima il tessuto sociale e sostanzia la polis.

Ebbene, io ho sempre considerato questa ricchezza di posizioni presente nella nostra Assemblea come una grande risorsa e ho sempre pensato che guidare la Fondazione volesse dire trovare il punto d’incontro più avanzato tra queste diverse spinte, ognuna a suo modo vitale.

Ho sempre pensato che guidare la Fondazione volesse dire tirar fuori, dalla dialettica e dal confronto tra le differenti anime, le linee strategiche e operative migliori per perseguire quel bene della comunità che è il vero obiettivo di un organismo come la nostra Fondazione.

Faccio alcuni esempi a tutti voi ben noti:

la scelta di mantenere il controllo della banca salvaguardandone l’autonomia e il radicamento territoriale;
la scelta di investire sull’università come occasione di crescita culturale della comunità riminese;
la scelta di sostenere l’articolato tessuto delle aggregazioni della società civile organizzata;
la scelta di impegnarsi a fondo su alcuni bisogni primari, come nel caso degli anziani, attraverso l’assistenza domiciliare per i non autosufficienti;
la scelta di restaurare alcuni grandi monumenti e di prendere in gestione Castel Sismondo per la rivitalizzazione del centro storico cittadino;
la scelta di ipotizzare alcuni grandi progetti come elementi di novità e di cambiamento.
Tutti questi sono esempi di idee e progetti nati negli anni in seno alla Fondazione proprio dalla volontà di valorizzare l’apporto delle diverse sensibilità presenti tra di noi.

Ecco perché sono dispiaciuto e amareggiato per gli attacchi subiti in queste settimane, ma al tempo stesso anche sereno. Sereno perché per me parlano questi fatti. Perché tutto il mio lavoro è stato centrato non sulla contrapposizione ad altri ma, al contrario, sul tentativo di unire, di costruire insieme, di ricercare sempre il miglior punto d’incontro ascoltando le differenti posizioni.

In questo, credo di aver interpretato in modo corretto il ruolo che la legge e lo statuto assegnano al Presidente della Fondazione, il quale non è un monarca e nemmeno un accentratore, ma è chiamato ad assolvere ad una funzione, più complessa e difficile, di sostanziale coordinamento e collegamento dell’attività degli organi. Statutariamente, le linee e le scelte strategiche e progettuali emergono dalla riflessione, dal lavoro e dall’approvazione degli organi collegiali, al Presidente spetta il compito di portarle avanti coerentemente. La Fondazione non è una società dove chi ha più azioni comanda, o dove esistono ‘diritti naturali’ di successione, o diritti a restare in carica per un certo numero garantito di anni. È invece un’agorà basata sul confronto di idee e di posizioni, nella quale il ruolo di Presidente viene affidato a chi è in grado di acquisire consenso per la sua capacità di ascoltare, di valorizzare, di unire.

Credo che oggi più che mai sia necessario cogliere non solo il valore, ma anche tutta l’urgenza di recuperare in Fondazione un modo corretto e rispettoso delle regole nello svolgimento dei ruoli amministrativi.

Lo sottolineo in modo particolare perché avverto oggi una forte preoccupazione.

Tutti possiamo constatare come in questo momento, forse per la prima volta nella sua breve storia, la nostra Fondazione si trovi in una situazione molto delicata.

Le gravi e insistite polemiche sollevate da alcuni soci sulla stampa (soci che prima o poi dovranno rispondere di questi loro comportamenti diffamatori) non solo hanno danneggiato l’immagine della Fondazione, ma soprattutto l’hanno indebolita agli occhi dell’opinione pubblica, aprendo il varco alle mire di chi vorrebbe in qualche modo mettere le mani sulla Fondazione stessa.

Guardate che non è allarmismo. Certe dichiarazioni di alti esponenti pubblici riminesi che abbiamo letto in questi giorni sono del tutto in linea con quelle che da qualche tempo vengono espresse da sindaci di comuni del nord Italia che rivendicano una maggiore – se non preponderante – presenza degli enti locali nelle Fondazioni bancarie e soprattutto nelle loro scelte.

Ricorderete tutti la battaglia che abbiamo fatto nel 2001 contro il famoso ‘emendamento Tremonti’ che assegnava agli enti pubblici la maggioranza dei componenti degli organi di indirizzo delle Fondazioni. E che, in definitiva, voleva relegare le Fondazioni bancarie al ruolo di cassaforte della spesa pubblica. Quella battaglia per fortuna fu vittoriosa, tanto che fu ripristinata la parità tra componenti espressione dell’Assemblea dei soci e componenti espressione della società e degli enti locali. Oggi, però, la logica di quell’emendamento del 2001 sta pericolosamente riaffiorando e può trovare un facile alleato proprio nelle situazioni di debolezza in cui le Fondazioni possano eventualmente versare, come purtroppo rischia di essere oggi il nostro caso.

In questo senso, non mi attardo oltre a puntare il dito contro le responsabilità di quei soci che pure ci hanno trascinato in questa difficile condizione; preferisco invece invitare tutti noi, tutta l’Assemblea, a ritrovare quello spirito da Fondazione forte e consapevole del proprio ruolo che, solo, può consentirci di difendere e affermare la nostra autonomia decisionale e strategica, la nostra indipendenza dalla politica, la nostra sovranità nelle scelte.

Ci sono voluti più di dieci anni di battaglie per arrivare alle sentenze della Corte Costituzionale n. 300 e 301 del 2003, che hanno riconosciuto la natura privatistica delle Fondazioni bancarie e il loro essere soggetti “dell’organizzazione delle libertà sociali”. Sarebbe davvero paradossale che la nostra Fondazione, per propria irresponsabilità, vanificasse queste essenziali conquiste.

Occorre ritrovare l’unità, che non vuol dire appiattimento o mortificazione delle identità e delle appartenenze, ma dare il meglio di sé per la causa comune.

Occorre individuare una guida capace ed autorevole, che aiuti a ripristinare un solido e fecondo rapporto con la società civile, ma anche una relazione corretta con i soggetti pubblici, trasparente e basata sulla pari dignità.

Occorre riprendere con vigore il percorso di quelle scelte strategiche che la Fondazione ha compiuto e che ancora mi sembra costituiscano l’obiettivo della sua attività per i prossimi anni.

Occorre salvaguardare, anziché criticare pubblicamente, l’immagine e il cammino della nostra banca conferitaria, a tutela del patrimonio della Fondazione e dello sviluppo sociale ed economico del territorio riminese.

Mi auguro, anzi sono sicuro, che ci siano in tutti noi la volontà e il senso di responsabilità necessari per superare questo momento di difficoltà, per difendere la nostra dignità e libertà, per avviare una nuova stagione di crescita della nostra Fondazione.

Avverto infine che intendo mettere il testo di questo mio odierno intervento a disposizione della stampa non per spirito polemico, che ho sempre inteso evitare, ma semplicemente per ripristinare la verità su alcuni essenziali punti, a tutela della mia onorabilità così gravemente offesa in queste settimane.

Grazie a tutti voi.