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Rubicone

A San Mauro assolto il passator cortese: era un bandito 'sociale'

In foto: Assolto il Passatore, il famoso bandito che terrorizzò la Romagna a metà Ottocento, ed assolta la Romagna stessa, che ne mitizzò la figura. Questo il verdetto del processo che sabato sera a Villa Torlonia, a San Mauro Pascoli, ha visto confrontarsi pubblica accusa, difesa e giuria.
<img src=images/lavoriincorso/passatore.jpg border=0 align=left witdh=70>Assolto il Passatore, il famoso bandito che terrorizzò la Romagna a metà Ottocento, ed assolta la Romagna stessa, che ne mitizzò la figura. Questo il verdetto del processo che sabato sera a Villa Torlonia, a San Mauro Pascoli, ha visto confrontarsi pubblica accusa, difesa e giuria.
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lun 12 ago 2002 13:50 ~ ultimo agg. 00:00
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La sentenza è arrivata dopo due ore di pubblico dibattito, durante il quale è stato esaltato l’aspetto sociale del banditismo di Stefano Pellosi, il Passatore di Romagna. Gianfranco Miro Gori, presidente della Giuria. Il resoconto della serata:
Giuria spaccata di netto in due tra “colpevolisti” (Pierluigi Costa, Presidente del consiglio comunale di Bagnacavallo e lo storico Maurizio Ridolfi) e “innocentisti” (il saggista Giuseppe Bellosi e il vicesindaco di San Mauro Pascoli, Alfonso Celli) con il voto decisivo finito nelle mani del presidente della Giuria, Miro Gori, che si è espresso per l’assoluzione. Facendo pendere l’ago della bilancia a favore della Romagna che ha elevato il Pelloni a suo simbolo ed emettendo questo verdetto finale:

“Stabilito che Stefano Pelloni, come hanno ampiamente dimostrato gli storici, è stato un bandito e anche feroce; stabilito altresì che il mito del Passatore a cui ci si riferisce non è quello folcloristico e mercificato attuale, bensì quello ottocentesco; la giuria – così ha argomentato il Presidente Miro Gori – riconosce all’unanimità che il Passatore e le sue bande traevano origine da una situazione sociale di grave disagio, miseria, oppressione e sfruttamento.
La giuria, infine, a maggioranza assolve la Romagna dall’accusa di avere fatto di un bandito una leggenda: la leggenda fu creata dal popolo che vi rifletteva desideri e speranze di riscatto, poeti e narratori la legittimarono e la diffusero: prima fra tutti Giovanni Pascoli, fonte insospettabile in quanto vittima di quello stesso clima di violenza che lo rese orfano del padre da mano ignota in giovanissima età’”.

Intenso lo scambio di battute tra difesa (il giallista Eraldo Baldini) e accusa (lo scrittore Roberto Casalini), che si sono confrontati sul campo a suon di aneddoti, battute e citazioni storiche. Entrambe hanno concordato su due punti: il pesante clima di oppressione regnante nella Romagna nella metà dell’Ottocento; il carattere sanguinario e banditesco di Stefano Pelloni. Dai punti di contatto però si è passati alle vere e proprie divergenze.

Il punto di vista di Casalini (Accusa). In nessuna parte del mondo un brigante e un personaggio della sua ferocia è stato assurto a simbolo di un’intera Regione. Il mito di Pelloni è nato dopo la sua morte, quindi non quando era in vita, grazie ad una situazione di grande oppressione nella Romagna del tempo, dove il 20% della popolazione risultava mendicante. Un clima che ha alimentato la sua leggenda portandolo agli occhi del popolo a vestire i panni di Robin Hood della Romagna.
Quel clima però non può giustificare ciò che ha fatto il Passatore. “Chiamo a testimoniare – ha citato Casalini – il Presidente della Municipalità di Forlimpopoli, Briganti, che fu bastonato a sangue dagli uomini del Passatore che gli chiedevano le chiavi del Monte della Pietà; chiamo a testimoniare la sorella di Pellegrino Artusi, Gertrude, che fu resa pazza dal Pelloni; chiamo a testimoniare un giovane di Faenza che nel gennaio del 1948 fu maciullato, con pezzi del suo corpo trovati sparsi in diverse strade di campagna.
Pelloni fu l’unico brigante della Romagna che oltre a uccidere le sue vittime, le scannava nel vero senso della parola. Chiamo infine a testimoniare la sorella del Pelloni, Lauretana, la quale ha scritto che se suo fratello ha fatto qualcosa per gli altri era solo per complicità e interesse. Non per gratuità”. Secondo Casalini il Passatore si è affermato come mito di sinistra, perché è stato interpretato come liberatore del popolo. In realtà non era mosso da nessun nobile ideale e da nessuna finalità sociale. “La Romagna che ne ha fatto un mito deve essere condannata. Non è stato il Passatore a riscattare questa Romagna, bensì il riscatto è avvenuto alla fine dell’800 quando si è affrancata dal banditismo diventando uno dei primi laboratori politici della storia d’Italia”.

Il punto di vista di Baldini (Difesa). Giovanni Pascoli, uno dei principali poeti italiani, non può avere preso un abbaglio scrivendo, nella poesia Romagna, “a Passator cortese / re della strada, re della foresta”. Pascoli, semplicemente aveva preso atto di un diffuso sentimento popolare che regnava in quegli anni, e che aveva intriso l’intera Romagna. Non è vero poi che il Passatore è stato elevato a mito della sinistra, dal momento che il massimo splendore dell’iconografia del Pelloni è avvenuta durante il ventennio fascista.
Non è vero anche che il mito nasce postumo, ovvero dopo la sua morte: se addirittura Garibaldi da New York ne canta le gesta in una celebre lettera (e in quei giorni Pelloni aveva 26 anni), significa che gli echi delle sue imprese erano già divenute leggenda. Un ladro comune non assurge alla figura di Robn Hood se il popolo non lo eleva a suo simbolo. E un personaggio diviene simbolo quando il popolo si identifica in lui. Ecco, Pelloni ha rappresentato per i contadini del tempo la possibilità del riscatto da una situazione di dominio e sfruttamento dello stato pontificio. Le rivolte degli anni 1948/49 rappresentano uno spartiacque decisivo per la Romagna: si forma la consapevolezza che attraverso la ribellione è possibile affrancarsi dal giogo dell’oppressore.
E il Passatore rappresenta bene questo spartiacque. D’altronde se un bandito viene elevato al ruolo di mito, significa che c’era una situazione drammatica in quel posto. Ha concluso Baldini: “Pelloni di suo ha già pagato con la vita, perché morto all’età di 27 anni. La storia e il popolo però lo hanno già assolto: a formula piena”.