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Rimini

Attentati negli USA. Il discorso del sindaco di Rimini alla manifestazione

In foto: Con queste parole di condanna nei confronti dei gravi attentati che hanno scosso l'America, ma anche di speranza nei confronti dei valori della pace e della solidarietà, si è espresso il sindaco di rimini Alberto Ravaioli durante la manifestazione in corso in Piazza Cavour.
<img src=images/ravaioli.jpg border=0 align=right width=80>Con queste parole di condanna nei confronti dei gravi attentati che hanno scosso l'America, ma anche di speranza nei confronti dei valori della pace e della solidarietà, si è espresso il sindaco di rimini Alberto Ravaioli durante la manifestazione in corso in Piazza Cavour.
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mer 12 set 2001 21:59 ~ ultimo agg. 00:00
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“Siamo qui stasera per testimoniare la nostra vicinanza ai fratelli Americani colpiti al cuore da un attacco terroristico che è in realtà un’azione di guerra. Guerra tanto più terribile e vigliacca quanto perché un nemico invisibile ha preso di mira scientificamente la parte più esposta, inviolata e inviolabile della democrazia: i cittadini, i loro luoghi di incontro e di lavoro, le abitudini di tutti i giorni. E’ un salto di qualità nell’escalation di cieca violenza che porta l’uomo contemporaneo a confrontarsi con una bestialità e un pazzesco grumo di rancore che sarebbe un errore confinare nel recinto di un aggettivo: ‘primordiale’. Il mondo civile, e sottolineo civile, non può pensare di sottrarre se stesso dall’interrogarsi sì sulla più devastante azione di guerra che da molti decenni l’uomo ricordi ma soprattutto su come sia nato e in quale tipo di cultura abbia proliferato questo bubbone di odio che nella sua esplosione non ha risparmiato le esistenze di migliaia di persone innocenti. Tutti noi, dunque, non possiamo chiuderci nel ragionamento del ‘ciò accade a molti chilometri di distanza da Rimini’ quando il vero obiettivo dei portatori di morte e di distruzione sono i valori della libertà, della pace, del rispetto altrui che trovano il loro compiuto strumento nella democrazia che ispira tutte le nostre azioni quotidiane. Certo, quanto è accaduto negli Stati Uniti lascia tutti noi attoniti perché va a infrangere qualsiasi schema logico- ed è un terribile paradosso- sinora applicato alla follia della guerra e della violenza. Ed è comprensibile come il nostro tentativo di razionalizzare, di dare almeno una parvenza di spiegazione a ciò che vediamo in tivù e leggiamo sui giornali, si fermi davanti all’orrore impensabile, oserei dire fantascientifico. Ma è proprio qui, nella volontà di andare oltre l’orrore, che si gioca una buona fetta del futuro delle civiltà democratiche. Chi ha colpito vuole minare i principi su cui l’uomo da secoli ha basato la pacifica convivenza. Chi ha colpito tenta di far ripiombare anche noi che siamo a migliaia di chilometri di distanza da New York o Washington nella spirale della paura che è l’anticamera della rinuncia ai valori dell’integrazione e del rispetto per l’altro. Chi ha colpito vuole non solo farci guardare al cielo con preoccupazione ma anche tenta di insinuare in noi il dubbio che il vicino di casa, ‘tutto ciò che non è me’, sia un nemico, da combattere o quantomeno da rifiutare. E’ difficile oggi dire che la risposta più ferma a questa guerra sia credere ancora di più ai principi della fratellanza tra i popoli e della pace. E’ difficile perché il sentimento immediato è quello del rancore, della vendetta. Ma, purché doloroso, sono questi ora più che mai i principi che devono ispirare quotidianamente, ostinatamente, metodicamente l’azione di noi cittadini, amministratori, rappresentanti della società civile. Isolarsi per paura significherebbe consegnarsi a chi fa della guerra e dello spargimento di sangue il suo credo esclusivo. Ho sentito molti, in queste ore, dire che da oggi tutto è cambiato, che il mondo non sarà più quello di ieri. Non è proprio così: affermare questo concetto senza distinzioni vuole dire che i portatori di morte hanno vinto, hanno costretto a cambiare le nostre convinzioni democratiche. In realtà credo che quanto è accaduto sia l’inizio di una storia diversa il cui finale sarà determinato dalla capacità che avremo in ogni minuscolo angolo del mondo di far leva sui valori fondamentali della nostra civiltà. Questo è il compito che i terribili fatti di America consegnano a tutti noi.
Mi sento in dovere di fare un paio di considerazioni generali: credo che vada perseguita con ancora maggiore vigore e risorse una politica che miri a riequilibrare le condizioni di vita dei Paesi sulla Terra come soluzione pacifica a problemi che possono degenerare nella violenza. E ritengo anche non sia più possibile tollerare che, in ogni parte del globo, organizzazioni terroristiche trovino connivenze più o meno ambigue, più o meno velate con istituzioni e organismi rappresentanti di Paesi e Popoli.
Sono altresì d’accordo con il documento sottoscritto dalle organizzazioni sindacali riminesi che mette in guardia: una reazione dei popoli colpiti esclusivamente basata sulla sete di vendetta può mettere a grave rischio il processo di pace nel mondo. La lotta contro il terrorismo non può andare a scapito della pace.
Infine richiamo una questione legata a questa città. Sapete tutti che Rimini è la località favorita ad ospitare il vertice mondiale della Fao che nei programmi era fissato per il mese di novembre. La comprensibile situazione di incertezza a livello internazionale ha avviato una fase di ripensamento nei Governi di tutto il mondo. In questo momento dunque la domanda non è tanto ‘dove si farà il summit’ ma ‘quando si farà’ e se si farà. In ogni caso se gli appuntamenti internazionali fissati dovessero essere confermati e se le istituzioni ai più alti livelli dessero alla città massime garanzie di sicurezza oggi indispensabili più di ieri, credo che Rimini non possa tirarsi indietro chiudendosi nel rifiuto verso una manifestazione ispirata a quei principi di pace, di fertile confronto di idee, di comprensione altrui ai quali nessuno può responsabilmente sottrarsi. Anche così, in futuro, potremo sì ripensare con dolore alla giornata dell’11 settembre 2001 senza però trasformarla nel terribile spartiacque tra l’età della ragione e quella della barbarie”.